Aprile 19, 2024

Aziende non quotate: i mini-bond come opportunità per gli investimenti di lungo periodo. Senza passare dalle banche

Non è necessario appoggiarsi a una banca per emettere un minibond, ma rispettare alcune fondamentali condizioni di bilancio e di trasparenza

I c.d. minibond sono titoli emessi da piccole e medie imprese, destinati non al pubblico indistinto, ma ai sottoscrittori professionali e qualificati. Sebbene la normativa in materia non li abbia chiamati espressamente così, il termine minibond è ormai l’espressione più utilizzata dai media e dagli esperti per parlare di questi strumenti di indebitamento.

Come sappiamo, la crisi del 2008 e la conseguente restrizione del credito bancario alle PMI italiane ha determinato la necessità di canali alternativi di finanziamento, spingendo il Legislatore ad ampliare il numero (e le caratteristiche) degli emittenti, allargando tale possibilità anche alle società minori.

A differenza del collocamento di azioni sul mercato (il c.d. Flottante), le obbligazioni rappresentano capitale di credito (e non di rischio) per chi le sottoscrive. Pertanto, chi detiene una obbligazione è, a tutti gli effetti, creditore dell’azienda che l’ha emessa. La nuova modalità di finanziamento a medio e lungo termine, rappresentata dai minibond, è riservata solamente alle società per azioni e alle società in accomandita per azioni, le quali, in questo modo, si possono rivolgere al mercato degli investitori istituzionali per reperire capitali, limitando le banche al ruolo di “sponsor” e/o di sottoscrittore (se il tasso e le condizioni generali sono appetibili, come vedremo).

La restrizione del collocamento agli investitori istituzionali (banche, imprese di investimento, SGR, società di gestione armonizzate, SICAV, solo a titolo di esempio) dei prestiti obbligazionari non quotati è stata determinata dagli esempi del passato, in cui alcune emissioni non quotate distribuite al pubblico indistinto, purtroppo, sono finite in default).

Come tutte le obbligazioni, anche i minibond pagano ai sottoscrittori un interesse annuo, semestrale o trimestrale, il cui ammontare è stabilito a priori all’atto dell’emissione, e danno diritto al rimborso dell’intera somma alla scadenza. Pertanto, la decisione di emettere una obbligazione, oltre a dover sottostare a precise norme del Diritto Societario, deve prevedere una rigida programmazione dei piani aziendali, che consenta con certezza di assicurare il rimborso del capitale a quella data scadenza (pena, il default dell’emissione ed il fallimento dell’azienda).

L’obbligazionista, per via della natura creditizia del titolo, rimane totalmente estraneo alle scelte strategiche dell’azienda emittente la quale, peraltro, è vincolata da precisi limiti alla possibilità di emettere obbligazioni (l’art. 2412 cod. civ. fissa il limite all’emissione del prestito obbligazionario ….nella somma complessivamente non eccedente il doppio del capitale sociale, della riserva legale e delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio approvato), che possono essere superati soltanto se le obbligazioni saranno quotate, oppure se sono garantite sino a due terzi del valore da ipoteca su immobili di proprietà, da titoli nominativi emessi o garantiti dallo stato, oppure da crediti di annualità o sovvenzioni a carico dello stato o di enti pubblici; oppure ancora se l’emittente ha ottenuto dagli organi di vigilanza una specifica autorizzazione per particolari ragioni di pubblico interesse.

L’organo che delibera l’emissione di obbligazioni è l’assemblea straordinaria degli azionisti, ma tale decisione può essere anche delegata al consiglio d’amministrazione. Il costo complessivo di una emissione obbligazionaria è dato dal tasso di interesse cui si aggiungono la commissione bancaria, quella spettante all’eventuale consorzio di garanzia ed eventualmente la commissione di distribuzione. Inoltre, generalmente le obbligazioni sono emesse sotto la pari ossia a un prezzo inferiore al valore nominale.

Rappresentando un’opportunità di finanziamento sul mercato dei capitali per le aziende sane (con buone performance e con precisi programmi di crescita), chi emette un minibond gode di alcune agevolazioni prima riservate solo alle realtà presenti sui mercati regolamentati, come la deducibilità fino al 30% del reddito operativo lordo, la possibilità di indicare nel prospetto informativo solo la certificazione degli ultimi due bilanci e la eliminazione dei limiti previsti dall’articolo 2412 del codice civile (doppio del capitale sociale + riserva legale + riserve disponibili, previsti per le emissioni quotate).

Questo particolare tipo di emissione, studiato per le PMI (piccole e medie imprese), è meno complicato e meno costose dei “bigbond”: il fatturato dell’emittente deve superare i 2 milioni di euro e l’organico deve essere composto da un minimo di 10 dipendenti.

Sebbene la quotazione del mini bond sia un obiettivo comune a quasi tutti gli emittenti (Il 68,8% dei minibond sono stati quotati sul mercato denominato Extra MOT PRO), esiste anche un margine di convenienza a non quotare il titolo. Infatti, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che per gli investitori è prevista la piena esenzione fiscale sugli interessi pagati da un prestito obbligazionario non negoziato su ExtraMot Pro o altro sistema multilaterale di negoziazione, emesso da una società non quotata e sottoscritto da un unico investitore professionale.

Non è necessario appoggiarsi a una banca per emettere un minibond, ma rispettare alcune fondamentali condizioni di bilancio e di trasparenza. Considerato che in Italia operano più di 10.000 imprese con fatturato superiore ai 5 milioni e utili medi del 10%, e quindi pronte ad accedere a questo mercato, il margine di sviluppo di queste emissioni è notevole. Inoltre, l’ipotesi di una stabilità dei tassi di interesse nei prossimi tre anni è più che probabile, per cui le aziende interessate farebbero bene ad avviare il proprio programma di emissione, alle attuali condizioni di mercato, il più presto possibile, al fine di assicurarsi l’emissione di un debito sostenibile anche in conto interessi.

Secondo i recenti rapporti sui mini-bond (Osservatorio del Politecnico di Milano), il 2018 è stato un altro anno di successo per il mercato dei mini-bond, con molte nuove emittenti e un ottimo incremento delle Srl. Le imprese emittenti che dal 2012 al 2018 hanno collocato mini-bond, oggi formano un campione di 498 società. Di queste, l’81,1% sono società per azioni, il 16,7% sono società a responsabilità limitata, l’1,8% sono società cooperative, lo 0,4% sono veicoli esteri di stabili organizzazioni in Italia. Le PMI in totale sono 260, ovvero il 52,2%. il valore nominale totale dei mini-bond è arrivato a 321 emissioni sul mercato ExtraMOT Pro, per un controvalore superiore a €15 Mld di euro.

Relativamente ai rendimenti offerti, le generose cedole dei mini-bond hanno un grande appeal verso i sottoscrittori istituzionali, soprattutto in un momento come questo, in cui le emissioni dei titoli governativi e delle grandi aziende offrono tassi molto bassi. Ultimamente, lo strumento comincia a diffondersi anche tra le realtà di ridotte dimensioni, quelle cioè che oggi incontrano i maggiori problemi a farsi finanziare i progetti di sviluppo presso il sistema bancario.

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