Ottobre 12, 2025
Home Posts tagged casa

Quanto costa vivere in Tunisia? Guida per pensionati e imprese in cerca di risparmio fiscale

Il paese nordafricano offre ai pensionati italiani un concreto miglioramento delle condizioni di vita e un clima favorevole. Non è un paese per giovani, a meno che non siano imprenditori.

di Marco d’Avenia

Vivere in Tunisia è davvero così conveniente? Da quando i media hanno fatto scoprire agli italiani che il costo della vita nel paese nordafricano è davvero basso, molti hanno iniziato a valutare di trasferirsi, soprattutto pensionati in cerca di un regime fiscale più vantaggioso. In questa guida analizzeremo i vantaggi e gli svantaggi di un trasferimento in Tunisia, meta tra le più vicine in termini geografici ma tra le più lontane dal pensiero comune dell’italiano medio, soprattutto se giovane ed in cerca di prima occupazione.

Lo stato che confina a ovest con l’Algeria e a est con la Libia presenta una situazione geopolitica abbastanza stabile, anche se di recente il presidente Kaïs Saïed ha intrapreso una serie di riforme che hanno suscitato polemiche da parte dei sindacati. Mettendo da parte questo aspetto, di certo non secondario, la Tunisia presenta un tasso di cambio molto interessante: 1 Euro vale infatti 3,39 dinari tunisini*. Questo vuol dire che un italiano con reddito in euro ha un potere d’acquisto superiore – non solo nominale, ma anche reale – rispetto a quello di un abitante della Tunisia, e questo fattore è molto importante allorquando si deve valutare la decisione di trasferirsi nel paese nord-africano. Peraltro, la distanza dall’Italia è davvero breve, e mediamente  raggiungere Tunisi da Fiumicino ha un costo base di circa 120 euro, a cui va aggiunta la tariffa variabile prevista per i servizi di viaggio (bagaglio, posto assegnato etc). Da Palermo, invece, Tunisi è raggiungibile con la nave al costo di circa 150 euro (450 euro imbarcando l’auto).

Per i pensionati che intendono migliorare le proprie condizioni di vita, è fondamentale esaminare il capitolo del “reddito importato” dall’Italia. La cosa funziona pressappoco in questo modo: il pensionato italiano deve richiedere il permesso di soggiorno e abitare effettivamente in Tunisia per almeno 6 mesi + 1 giorno all’anno. Deve poi aprire un conto bancario, sul quale farsi accreditare la pensione italiana che verrà corrisposta dall’Ente Italiano erogante al lordo, quindi senza ritenute alla fonte, poichè in virtù della convenzione fiscale essa sarà tassata non più dallo Stato Italiano ma da quello Tunisino. Su tale importo lordo, la Tunisia concede una detrazione dell’80%, e tassa con una aliquota media del 27% solo il 20% di esso, con un limite massimo del 5% della pensione lorda. In pratica, su una pensione italiana lorda annua di 20.000 euro il reddito imponibile sarà pari a 4.000 euro (20.000 meno l’80%) e l’imposta complessiva pari a 1.000 euro l’anno.

Nell’esempio considerato, così, al nostro pensionato rimangono 19.000 euro netti in tasca, con i quali coprire i costi della casa, dell’alimentazione, del trasporto, sanitari etc. Anche in relazione alla casa, la scelta della Tunisia fa immediatamente intuire la convenienza del cambio di paese e di valuta. Infatti, con un costo di molto inferiore a quello di qualsiasi città turistica italiana, è possibile abitare una casa abbastanza comoda affacciati sul mare nella costiera tunisina, tra le più belle del Nord Africa. A Tunisi, ossia nella capitale, c’è un ventaglio di opportunità davvero niente male. L’affitto di un bilocale in centro, ben fornito e già arredato, costa mediamente 250 euro al mese, mentre una casa con tre camere da letto 380 euro. Se si decide di acquistare, si spendono rispettivamente 50.000 euro fronte mare e 35-40.000 euro nelle strade più interne (bilocale) e tra 90.000 e 110.000 per un pentavani in centro.

Una villetta con piscina, poi, si trova agevolmente a 110-120.000 euro. A Sousse, Djerba, Monastir o Hammamet, incantevoli città sul mare, l’affitto scende a 200-300 euro. Per chi già percepisce una pensione in Italia, pertanto, pianificare il proprio tenore di vita in Tunisia sarà un gioco da ragazzi. Chi invece vuole trasferirsi nel paese nordafricano per lavorare, allora farebbe bene ad avere un quadro chiaro della situazione retributiva locale. Il portale “Altra Tunisia”, attivo da 10 anni nel suggerire agli italiani le dritte giuste per organizzare la loro nuova vita nel paese, ha condotto un’inchiesta sul tema. In Tunisia, infatti, ci sono molte ditte italiane legate a doppio filo con l’Italia, che ricercano figure madrelingua da inserire nel loro organico, anch’esso formato da migranti nostrani. Ad esempio, la retribuzione in un call center varia dai 600 ai 1200 dinari tunisini netti (da 182 euro a 364 euro), giusto il minimo sindacale per condurre uno stile di vita meno che dignitoso anche per i tunisini. Queste condizioni non sembrano strizzare l’occhio a chi vuole farsi assumere da dipendente, pertanto sembra che la migliore opzione per avvantaggiare la propria situazione economica in Tunisia sia quella di mettersi in proprio per stabilire lì una nuova attività imprenditoriale o delocalizzare quella presente in Italia. Occhio, però, perché la burocrazia è complessa e piuttosto lenta.

Capitolo viabilità: come muoversi in Tunisia? La rete ferroviaria tunisina si estende per un totale di 2152 km, supportati numerose aziende pubbliche o private che si occupano dei trasporti urbani, suburbani, interurbani e turistici tramite autobus e minibus. Puntando il nostro focus sulla capitale Tunisi, il prezzo mensile di un abbonamento ai trasporti che copra l’intera città costa solo 45 dinari, l’equivalente di 13,32 euro. Una tariffa davvero vantaggiosa soprattutto per chi ha tanto tempo libero e vuole visitare le meraviglie di questa metropoli dalle origini antichissime, come ad esempio la Medina, il Suq (mercato storico) o la moschea di Al-Zaytouna. Per chi vuole invece spostarsi con l’auto, la benzina costa mediamente 0,74 euro al litro, mentre il diesel 0,65 euro al litro, valori che in Italia determinerebbero un vero e proprio assalto alle stazioni di rifornimento.

Passiamo infine al carrello della spesa: quanto costa mangiare in Tunisia? Ebbene, nel paese nordafricano c’è un vero e proprio culto della cucina, e i prezzi dei prodotti alimentari più comuni sono molto al di sotto di quelli italiani ed europei. Nel dettaglio, un litro di latte costa 0,41 euro, 12 uova 1,1 euro, 1 kg di carne di manzo 8,70 euro, una confezione di pane in cassetta da 125 g. costa circa 0,03 euro, 1 kg di riso 0,92 euro, 1 kg di pomodori 0,64 euro, mentre un etto di formaggio locale lo si paga 0,90 euro. Inoltre, una cena per due persone in un ristorante medio, con tre portate, costa 18 euro, un cappuccino al bar 0,75 euro, un caffè 0,50 (idem per una Coca Cola).

A conti fatti, il pensionato italiano da 20.000 euro annui, cui rimane intatto il 95% della pensione lorda, può mettere da parte fino a 5.000 euro l’anno, e tutto questo senza farsi mancare nulla. L’impresa di servizi che delocalizza in Tunisia parte o tutta l’attività aziendale ha un trattamento di tutto favore. Infatti, le imprese che producono impiegando manodopera locale ed esportano interamente la produzione all’estero godono per i primi dieci anni di attività di una tassazione ridotta con aliquota del 10%, che diventa il 30% dall’undicesimo anno in poi (ma sono previste riduzioni al 10% per i settori agricolo, medicale, artigiano, istruzione e formazione). In ogni caso, anche dopo il decimo anno il risparmio delle circa 800 aziende italiane presenti in Tunisia è notevole rispetto al nostro Paese, dove oggi la pressione fiscale complessiva alle imprese fa fatica a scendere al di sotto del 50%.

*Cambio TND/EUR applicato alla data di scrittura dell’articolo pari a 3,39 Dinari tunisini per ogni Euro

L’abitazione degli over 65 nella fase di Longevity. Downsizing immobiliare e coperture finanziarie

Consulenza patrimoniale. Mediamente il denaro per la vecchiaia è un quinto degli asset immobiliari, difficili da liquidare in caso di urgenza. Agli anziani serve maggiore liquidità e una casa più piccola. 

In un primo articolo dedicato alla c.d. Longevity, ossia la fase della vita in cui ognuno di noi si trova a programmare la prossima vecchiaia e pianificare i mezzi di sostentamento, ci siamo occupati di alcuni principi generali e delle possibili soluzioni a livello soprattutto finanziario, ma risulta impossibile fornire una analisi completa senza trattare in modo più approfondito la relazione tra le persone e la propria abitazione, quella cioè dove trascorreranno anzianità e vecchiaia.

Su questo tema, è utile partire da alcune statistiche piuttosto significative riguardanti le abitazioni degli over 65. Infatti, l’80% di loro possiede la casa in cui vive, e oltre il 50% vive in case di almeno 4 locali. Il 35% delle loro case è stata costruita prima del 1960, è poco efficiente dal punto di vista energetico e necessita di spese di ristrutturazioni straordinarie economicamente impegnative. Di conseguenza, il 40% delle spese mensili di un over 65 è destinato alla casa, che per il 50% di essi è senza ascensore, situazione tipica dei nostri tanti centri storici. Inoltre, circa il 30% degli over 65 vive solo, e questo si riflette sul livello di protezione dell’incolumità di chi ci abita, poiché il 28,6% degli over 65 subisce almeno una caduta nell’arco di 12 mesi dall’ingresso nella Longevity, e il 60% delle cadute avvengono in casa, con conseguenze spesso irreversibili in relazione alla salute e all’autosufficienza (la reiterazione delle cadute porta spesso all’assunzione di personale domestico o al ricovero in una RSA).

In relazione al patrimonio immobiliare, il consulente patrimoniale/finanziario si trova spesso di fronte ad una forte sproporzione tra gli asset immobiliari e quelli mobiliari, i quali ultimi risultano mediamente pari al 20% del totale complessivo degli asset. Ciò significa che, mediamente, il denaro liquido a disposizione per la vecchiaia risulta essere pari ad un quinto degli asset immobiliari, notoriamente illiquidi e/o difficili da liquidare in caso di urgenza medica. Per questo motivo, il professionista del patrimonio deve suggerire, laddove possibile, la vendita di immobili non legati ad esigenze concrete del soggetto longevo principalmente per due motivi. Il primo riguarda la realizzazione di liquidità utile ad affrontare le spese crescenti della Longevity per non pesare sui figli; il secondo riguarda gli immobili mesi a reddito ed è legato alla necessità di eliminare qualunque rischio afferente alla eventuale insolvenza degli inquilini, difficilissima da gestire soprattutto da anziani.

E se il denaro liquido è insufficiente e l’abitazione è una sola? In questo caso – peraltro tra i più frequenti – le case di ampia quadratura si rivelano poco adatte alle persone longeve (per via dei costi di gestione e dei pericoli di incolumità generati dal maggiore spazio), per cui negli ultimi dieci anni ha preso piede la soluzione che prevede il trasferimento in una casa più piccola, pensata però per agevolare la vita domestica quotidiana. Negli USA, per esempio, esistono agenzie che si occupano di tutto, dalla vendita della vecchia casa all’acquisto di una più piccola (c.d. Downsizing) e adeguata alla longevità. Negli Stati Uniti ed in Nord Europa sono sorti già da diversi anni condomini appositamente pensati per residenti Senior, dove si possono conciliare la privacy di un appartamento privato con l’assistenza giorno e notte e luoghi per la socializzazione: ristorante, sala fitness, caffetteria, sala lettura ecc. In Italia questo settore non è ancora così sviluppato, ma il mercato dei Senior living sta esplodendo, così come i condomini smart con servizi di concierge.

Questo tipo di soluzione, a ben vedere, risponde anche alla necessità di evitare l’isolamento e la tipica marginalizzazione della persona longeva, che a causa della solitudine accelera il proprio decadimento fisico e cognitivo. Secondo L’ISTAT, gli uomini che vivono da soli passeranno da 3,6 milioni nel 2020 a 4,3 milioni nel 2040 (+20%), e le donne sole da 5 a 6,1 milioni (+23%). Attualmente il 61% delle persone sole è over 65. Arrivare a questa situazione senza una specifica tutela dai rischi del futuro fino ad oggi è stata quasi la norma per gli attuali over 70, ma attraverso polizze sanitarie e LTC, piani di accumulo e fondi pensione, a cui associare la ristrutturazione della propria abitazione o il downsizing, è possibile determinare una forma di protezione di sé e dei propri familiari, per evitare che ricada su di loro l’assistenza a lungo termine: il futuro anziano investe in una polizza e/o in un piano di accumulo e genera maggiore liquidità con il downsizing per evitare una spesa maggiore in futuro, che potrebbe erodere significativamente il suo patrimonio e pertanto quello dei suoi eredi, oppure gravare direttamente o indirettamente su di essi.

Mediamente, il costo che si deve sopportare per una badante è intorno ai 1.500/1.600 euro (contributi compresi). Difficile la stima del costo di un eventuale adeguamento dell’abitazione privata a un residente molto anziano, ma in questo caso il ritorno sull’investimento potrebbe essere quello di intervenire in anticipo rispetto al momento in cui la persona avrà bisogno di assistenza. Infatti, il pensionamento costituisce di fatto il maggior investimento di tutta la vita, e come tale necessita di una pianificazione che tenga in conto molte variabili diverse: quando e come smettere di lavorare, se gradualmente o di colpo, dove invecchiare (casa e location), con chi (famiglia/socialità), le condizioni fisiche, la tutela da malattie invalidanti, le volontà di successione e la preparazione del patrimonio al passaggio di consegne. In tal senso, la pianificazione della vecchiaia è solo un “ingrediente” della pianificazione successoria. Prima di questa, il consulente deve aiutare il cliente e la sua famiglia a pianificare la massima qualità di vita per tutti gli anni della vita residua.

Milano, prezzi delle case elevati: tutti cercano il bilocale. Ecco i budget a seconda della zona

Comprare casa a Milano è diventato quasi proibitivo nelle zone centrali e semicentrali. Interessante analisi di Casa.it sull’acquisto di un bilocale con budget diversi in base alle quotazioni di Aprile 2023.

Milano è sotto i riflettori per i prezzi elevati delle case superiori a quelli medi nazionali e in crescita. In città gli appartamenti più cercati nel primo trimestre del 2023 si sono confermati i bilocali. Nella seconda parte del 2022 le quotazioni immobiliari di Milano hanno messo a segno un incremento del 2,5%. Questo è quanto emerso dall’analisi condotta da Tecnocasa sulla città meneghina.

Da alcuni anni ormai, il mercato immobiliare di Milano prosegue il suo trend positivo, e a livello di prezzi non registra riduzioni dal 2016, anno in cui si sono stabilizzati, per poi incrementarsi sempre anche durante il periodo della pandemia. Per quanto riguarda le compravendite, a Milano nel 2022 sono state scambiate 28.595 abitazioni residenziali, +6,1% rispetto al 2021. Le zone centrali segnano un recupero dei valori dell’1,1%. Come sempre tiene il segmento di pregio della città che continua a dare risultati interessanti grazie a una domanda sostenuta e a un’offerta limitata. Queste tipologie sono ricercate in zona Moscova dove si toccano valori di 17 mila euro al mq per il nuovo. Si tratta di tagli grandi, oltre 200 mq, possibilmente in edifici di nuova o recentissima costruzione con servizi di portineria h24, accesso diretto ai garage auto, locali comuni come la palestra.

Permane comunque l’interesse per gli stabili d’epoca. Si chiedono balconi abitabili, almeno tre camere da letto e due bagni, meglio se posizionati dal terzo piano in poi. Negli ultimi tempi è sempre più importante la presenza di box auto di grandi dimensioni e con possibilità di caricare l’auto elettrica. Prezzi stabili in Porta Romana–Crocetta dove si segnala un mercato rallentato alla luce della maggiore incertezza e dell’aumento dei tassi di interesse, pur registrando un basso ricorso al credito. A rallentare le dinamiche anche i lavori di ristrutturazione, i cui tempi di ultimazione si sono allungati e di conseguenza è più difficile che gli immobili arrivino sul mercato. Sono diminuiti gli investitori, nonostante la vicinanza del futuro Villaggio Olimpico. Si realizzano prevalentemente compravendite di abitazione principale, soprattutto acquisti migliorativi spesso realizzati nella prestigiosa piazza Mondadori e limitrofe dove si toccano punte di 10mila euro al mq.

Casa.it ha analizzato i prezzi medi richiesti per gli appartamenti con due locali in vendita nelle varie zone di Milano ad aprile 2023, e ha individuato le zone dove poter acquistarne uno a seconda del budget che si vuole investire. Se si vogliono investire al massimo 200.000 euro, si può acquistare un bilocale nelle zone Comasina, Quarto Oggiaro; Baggio, Bisceglie, Olmi; Macconago, Quintosole; Figino, Quinto Romano. In queste zone i bilocali hanno un prezzo medio tra 169.000€ e 193.000€. Con un budget  da 200.001 a 300.000 euro, invece, si può scegliere di comprare un bilocale nelle zone Forlanini; Parco Lambro-Cimiano; Bicocca, Niguarda-Cà Granda, Parco Nord; Viale Certosa; San Siro; Bovisa; Lorenteggio; Famagosta; Abbiategrasso; Ripamonti; Loreto; Lambrate. In queste zone i prezzi medi dei bilocali vanno da 209.000 a 288.000 euro.

Con un investimento da 300.001 a 400.000 euro si può scegliere un bilocale nelle zone Città Studi, Susa, Corsica; Navigli, Porta Genova; Centrale, Repubblica. In queste zone i bilocali costano mediamente da 329.000 a 378.000 euro. Con un budget più ampio, compreso tra 400.001 e 500.000 euro, si può avere un bilocale nelle zone Arco della Pace, Sempione; Corso Magenta; Buenos Aires, Porta Venezia; CityLife; Fiera; Lotto; Porta Romana, Risorgimento; Garibaldi, dove i bilocali hanno un prezzo medio che va da 402.000 a 472.000 euro, mentre con una cifra compresa tra 500.001 e 600.000 euro si può acquistare un bilocale, nella zona Guastalla e Palestro, dove il prezzo medio dei bilocali è 544.000 euro. Per acquistare un bilocale in Centro, Duomo e Brera, infine, la richiesta media è 661.000€.

La casa immaginata dagli italiani: grande, luminosa e in periferia

Terza edizione de “La casa che immagino” di Casa.it. Come le persone immaginano la loro futura casa, i loro desideri e le loro esigenze nei diversi contesti storici che stiamo vivendo.

Pubblicata di recente la terza edizione della ricerca di Casa.it, “La casa che immagino”, che ha coinvolto oltre 3.200 persone tra novembre 2022 e gennaio 2023 ed ha fornito spunti molto interessanti sul comportamento dei consumatori di fronte il principale degli obiettivi che ogni persona e/o famiglia si pone nella vita, e cioè l’acquisto o la locazione di una casa.

Secondo lo studio, gli anni di pandemia hanno portato ad un profondo cambiamento nei desideri delle persone e nel loro approccio alla ricerca della casa, e ciò è confermato dai risultati della, fornendo l’identikit della casa ideale: grande, già abitabile, in periferia, vicina a negozi e servizi e agli spazi verdi, con garage, luminosa e con riscaldamento autonomo.  “Questa indagine – commenta Daniela Mora, Head of Consumer & Brand Marketing di Casa.it – “mostra come cambia la domanda di chi cerca casa, ed è utile ad intercettare i trend interessanti per il mercato e per i professionisti del Real Estate”. La visita online delle case prima della visita di persona, per esempio, è diventata normalità, soprattutto tra le fasce più adulte. L’86% degli utenti intervistati da Casa.it, prima di visitare di persona una casa la visiterebbe online, con un dato stabile rispetto alle due rilevazioni precedenti, ed è la fascia 65+ quella con la propensione più elevata alla visita online delle case con il 92%, seguita da quella dai 45 ai 54 anni con l’89%.

L’acquisto della casa è il motivo principale per cui le persone cercano una nuova casa oggi. Infatti, l’86% delle persone intervistate da Casa.it vuole acquistare una casa e il 14% è interessato ad una casa in affitto. L’interesse per le case in vendita è maggiore nelle fasce d’età 35-44 e 55-65 anni, dove il 90% degli intervistati in queste fasce cerca una casa da acquistare, mentre quello per le case in affitto è più alto, oltre che nella fascia 18-25 anni (37% degli intervistati) anche in quella 65+ (18% degli intervistati). In particolare, l’acquisto della prima casa e la sua sostituzione restano i principali motivi per cui le persone oggi vogliono comprare casa. Il 31% degli intervistati comprerebbe per possedere una casa per la prima volta (-8% rispetto al 2021), il 30% per sostituire la prima casa per una più grande (+6%) e il 12% per sostituire la prima casa per una più piccola. L’acquisto per investimento, invece, resta su un valore del 10% simile a quello registrato nelle rilevazioni precedenti.  

L’affitto è principalmente una scelta provvisoria in attesa dell’acquisto e legata a motivi di lavoro. La maggior parte di chi intende prendere in affitto una casa oggi la considera una scelta momentanea in attesa di acquisto (22%). Seguono i motivi di lavoro con il 19%, la libertà di poter cambiare appartamento e indirizzo a seconda delle necessità con il 14%, il disinteresse verso la proprietà della casa con l’11%, la necessità di familiari con il 9%, la possibilità di verificare la piacevolezza della città/quartiere con l’8%. Meno rilevanti l’affitto di una casa vacanze (3%) o i motivi di studio (2%).  

La classifica delle tipologie più richieste vede al primo posto l’appartamento, che ha raccolto il 41% delle preferenze, la casa indipendente al secondo posto con il 25% e l’attico-mansarda al terzo posto con l’8%. Per tutte le fasce d’età l’appartamento è la tipologia preferita; la casa indipendente ha raccolto preferenze superiori alla media nelle fasce 18-25 (26%), 26-34 (27%), 35-44 (30%) e 45-54 (27%), mentre l’attico-mansarda ha raccolto preferenze superiori alla media presso le fasce più adulte: 55-65 anni (11%) e 65+ (10%). In cima alle preferenze c’è il trilocale, seguito dal quadrilocale e dal penta locale.

Su tutto, la casa ideale dovrebbe essere grande: l’89% delle persone intervistate da Casa.it desidera case di ampia metratura: il 33% vorrebbe che la propria casa avesse trilocali, il 30% 4 locali e il 26% 5 locali o più, con una crescita del +1% rispetto alla rilevazione precedente per i quadrilocali e per i pentalocali. Con il 10% delle preferenze, cala di due punti la percentuale di persone che desidera un bilocale, mentre restano stabili i monolocali con l’1%. Per quanto riguarda le fasce d’età, i trilocali raccolgono le preferenze maggiori tra i 26-34enni (40%), i 4 locali tra i 35-44enni e 45-54enni (32%), i 5 locali o più tra i 35-44enni e 45-54enni (30%). I bilocali raccolgono le preferenze più elevate tra le fasce d’età agli estremi, 18-25 anni (17%) e +65 anni (13%).

Le persone preferiscono case già abitabili o nuove. Infatti, nonostante i bonus messi a disposizione per le ristrutturazioni, la percentuale di persone che vorrebbe acquistare una casa da ristrutturare resta al 12%, in calo di un punto rispetto alla rilevazione precedente. È netta la preferenza per case già abitabili con il 63% delle risposte (+2% rispetto all’anno scorso) e per le case nuove con il 25% (-1%). La netta preferenza per le case già abitabili è trasversale a tutte le fasce d’età, le case nuove sono preferite soprattutto dai più giovani, 18-25 anni (33%) e 26-34 anni (30%), mentre è la fascia 55-65 anni ad avere la preferenza più alta per quelle da ristrutturare (15%).

La ricerca della casa è concentrata soprattutto in periferia, con il 41% delle preferenze. Segue il centro (28%), le località di mare (13%), i piccoli borghi (11%), i paesini in montagna (4%) e le località sul lago (3%). Ad avere una preferenza più alta per la periferia sono per lo più i giovani adulti che vanno dai 18 ai 44 anni con una preferenza per la periferia del 50% per i 18-25enni, del 61% per i 26-34enni e del 50% per i 35-44enni. La preferenza più alta per il centro appartiene alle fasce 18-25 anni (36% degli intervistati), 45-54 anni (29%) e 55-65 anni (28%). La fascia d’età maggiormente interessata ai piccoli borghi è quella 45-54 (13%), quella più interessata alle località di mare quella degli ultrasessantacinquenni (25%).

La vicinanza a negozi e servizi risulta importantissima per chi cerca casa, con il 57% delle risposte raccolte e con una crescita del +3% rispetto alla rilevazione precedente. Seguono a poca distanza le preferenze verso gli spazi verdi, giardini e parchi con il 55% (+2%), i supermercati con il 50% (+2%), i mezzi pubblici con il 41% (+2%), il luogo di lavoro con il 26% (-1%) e, non meno importante, i luoghi per il tempo libero (con il 26%), che salgono di 3 punti rispetto alla rilevazione precedente e superano la preferenza verso la vicinanza alla scuola, che scende di 2 punti percentuali.

Ovviamente, le priorità cambiano a seconda delle fasce d’età: per i 18-25enni al primo posto troviamo i supermercati (65%), per i 26-34enni gli spazi verdi, giardini e parchi (66%) e a poca distanza i supermercati (64), per i 35-44enni gli spazi verdi, giardini e parchi (60%), per le fasce più adulte al primo posto ci sono i negozi-servizi (per i 45-54enni rappresentano il 55% delle preferenze, per i 55-64enni il 60%, mentre per gli ultrasessantacinquenni il 66%). Inoltre, a quasi 3 anni dal primo lockdown, il giardino privato resta importante come spazio essenziale nella casa ideale, ma scende al quarto posto delle preferenze con il 48%, superato da box-garage che è al primo posto con il 54%, soggiorno al secondo con il 51%, cucina abitabile al terzo con il 50%.

Superano il 40% di preferenze anche il terrazzo, con il 48%, a pari merito con il giardino privato, e 2 o più bagni con il 47%. Seguono il balcone (35%), la cameretta per i figli (34%), il ripostiglio (33%), il locale lavanderia (30%), la camera per gli ospiti (25%), la cantina (25%), la cucina a vista (23%), lo studio o lo spazio per lo smart working (21%), la cabina armadio (19%), la stanza/luogo per le passioni (17%), l’area palestra (5%).

I giovani italiani e la casa, un sogno tradito: redditi troppo bassi e prezzi non sostenibili

Per i nuclei familiari formati dai più giovani, oltre al disagio abitativo tradizionale sta aumentando la domanda di case percepite più come un servizio invece di un investimento di lungo periodo.

Oggi in Italia esiste una fascia molto ampia di abitanti che compone  una domanda di abitazioni a prezzo sostenibile, e coinvolge diversi gruppi sociali caratterizzati da una certa vulnerabilità economica. Disoccupati o impossibilitati al lavoro, soggetti “intrappolati” nella spirale di povertà, appartenenti al ceto medio con redditi reali rimasti bassi e in continua caduta di potere d’acquisto, lavoratori a forte mobilità, giovani lavoratori precari e studenti fuori sede non hanno la possibilità di risparmiare in modo sufficiente – o in nessun modo – per affrontare gli investimenti iniziali di allestimento di una casa e, sempre più spesso, non possono accedere al credito bancario. Completano il panorama di persone alla ricerca di soluzioni abitative agevolate come gli anziani fragili, che necessitano anche di servizi sanitari accessibili.

In Italia, il desiderio di essere proprietari di casa comincia fin dalla prima età adulta, e reincarna una eredità culturale che, riguardo all’abitazione, è tipicamente italiana. Nonostante le difficoltà economiche degli ultimi venti anni – periodo coincidente dall’ingresso del nostro Paese nell’Unione Monetaria Europea fino ad oggi – i giovani continuano a sognare di comprare casa, e molti under 35enni hanno fatto ricorso alle agevolazioni fiscali messe in campo dallo Stato per sostenere le spese di acquisto di una prima casa. L’età media dei giovani italiani tra i 18 e i 34 anni che vanno a vivere da soli è pari a 29,9 anni, secondo l’ultima rilevazione Eurostat, ed è oltre tre anni sopra la media Ue (26,5 anni). Peggio di noi fanno solo Grecia, Bulgaria, Slovacchia, Portogallo e Croazia. Il paragone con il passato è impietoso: nel 1983 la quota dei 18-34enni celibi o nubili che viveva in famiglia era del 49%, nel 2000 era al 60,2% e oggi i giovani che vivono in casa con i genitori sono 7 milioni, e cioè il 67,6% del totale.

In pratica, in quarant’anni il numero dei giovani che si sono resi indipendenti dai propri genitori è diminuito del 38%, facendo venir meno una fetta importante di inquilini o nuovi proprietari e rallentando non poco la crescita del mercato immobiliare; il quale è riuscito a compensare, per un certo periodo di tempo, con i maggiori scambi generati da altre fasce sociali – i babyboomers – finchè la domanda di questi ultimi non si è saturata e quindici anni fa, complice l’onda lunga della bolla immobiliare americana, non è crollata a fronte di una offerta che è stata sempre abbondante. Da qui la discesa del numero di compravendite e delle quotazioni in quasi tutto il territorio nazionale (con l’eccezione di Milano).

Il 1° Rapporto Federproprietà-Censis (“Gli italiani e la casa – Come cambieranno valori e funzioni della casa nell’Italia post-pandemia”) racconta come, dopo la traumatica esperienza dell’emergenza sanitaria e delle misure restrittive di confinamento, nell’Italia del post-pandemia stanno cambiando i valori e le funzioni della casa. Emerge, soprattutto, che il valore sociale della casa non è mai stato così alto, malgrado le quotazioni siano scese rispetto al passato. Secondo il Rapporto Censis, il 90,4% dei 18-34enni proprietari di casa ha nella propria condizione un fattore di rassicurazione per il proprio futuro. Tuttavia, non è semplice per i millennials trovare una abitazione adeguata alle proprie mutate aspettative (superficie non superiore in media a 80 mq e trasporto pubblico efficiente) e trovare un prezzo sostenibile, poiché il livello dei redditi in Italia è sceso vertiginosamente negli ultimi trenta anni – pesa l’assenza di un reddito minimo stabilito per legge, per cui la maggioranza dei giovani sconta redditi da fame – e il potere d’acquisto degli italiani si è progressivamente ridotto di più della metà, soprattutto a causa dei meccanismi rigidissimi dell’EU a guida tedesca.

Tale stato di cose oggi determina una forzosa permanenza degli ultra-trentenni presso l’abitazione dei genitori, più per “fare massa reddituale” (e condividere i costi dell’abitazione) che per effettive esigenze affettive e di prossimità, rinviando il momento in cui si possa dar vita ad un nuovo nucleo familiare. Ciò aggrava il deficit di natalità del nostro Paese, poiché il ritardo temporale di formazione di nuove famiglie, nonchè la scelta di queste ultime di fare un solo figlio per via delle difficili condizioni economiche, rallentano il ritmo di crescita della popolazione giovanile, la quale è costretta a confrontarsi con un mondo del lavoro che offre paghe umilianti, e sulla quale vengono scaricati maggiori costi previdenziali per le future pensioni (che si prevedono molto magre).

Dallo stesso rapporto Federproprietà-Censis emerge che il 5,9% delle famiglie italiane è in una condizione di deprivazione abitativa. Per i nuclei più giovani, oltre al disagio abitativo tradizionale sta aumentando la domanda di case percepite più come un servizio invece di un investimento di lungo periodo. Per soddisfare questa domanda, l’offerta immobiliare sta rispondendo con l’housing sociale, e cioè con quello strumento avviato nel 2009 con il Piano nazionale di edilizia abitativa e con la creazione del Sistema integrato di fondi immobiliari (SIF) con al suo centro un Fondo nazionale che verrà gestito da CDPI SGR, società di gestione del risparmio del Gruppo Cassa Depositi e Prestiti. L’obiettivo di questo fondo è investire circa 4 miliardi di euro sui territori, anche con la partecipazione di investitori terzi (fondazioni bancarie, enti pubblici e altri investitori privati del territorio), attraverso una trentina di fondi immobiliari locali che dovrebbero finanziare un totale di 20 mila alloggi e 7.500 posti letto in 110 comuni (tempo stimato: entro il 2026).

Dinamiche del mercato immobiliare e qualità della vita. Analisi su 107 province italiane

Tecnocasa analizza l’indagine sulla qualità della vita, condotta da Italia Oggi e l’Università La Sapienza di Roma, che ha coinvolto 107 province d’Italia. Parma, Trento e Bolzano sul podio, Milano e Bologna nei posti d’onore.

La recente indagine sulla qualità della vita, condotta da Italia Oggi e l’Università La Sapienza di Roma, ha coinvolto 107 province d’Italia. Nove le dimensioni d’analisi: affari e lavoro, ambiente, disagio sociale e personale, istruzione formazione capitale umano, popolazione, reddito e ricchezza, sicurezza, sistema salute e tempo libero. Ma vediamo in dettaglio quali sono le migliori province in cui vivere.  Al primo posto svetta la provincia di Parma, al secondo si piazza quella di Trento e al terzo quella di Bolzano. Bologna al quarto posto e Milano al quinto posto.

“Abbiamo analizzato – afferma Fabiana Megliola, Responsabile Ufficio Studi Gruppo Tecnocasa – come si è comportato il mercato immobiliare nei capoluoghi di provincia. La città di Parma, infatti, è tra quelle che ha segnalato un recupero dei valori immobiliari facendo registrare un aumento dei prezzi dell’1,7% e mettendo in luce un buon mercato anche tra i comuni della provincia. E, alla luce di quanto emerge da questa classifica, risultano ancora più interessanti le informazioni sui flussi di acquirenti di casa in città: post pandemia sono infatti aumentati i parmensi che acquistano in città e quelli che arrivano dalle altre province, grazie alla presenza delle facoltà universitarie che attirano ragazzi da tutta Italia ed i cui genitori apprezzano oltre all’offerta formativa proprio la qualità di vita e la dimensione più piccola.

Non stupisce nella classifica il secondo posto della provincia di Trento che annovera anche tante località turistiche. Il capoluogo a livello di prezzi ha visto un aumento del 3%.  Sia Trento sia Parma sono realtà apprezzate dai potenziali acquirenti per il fatto di essere a dimensione d’uomo e di offrire servizi in grado di migliorare la qualità di vita, due aspetti questi che post Lockdown hanno assunto un peso crescente nella valutazione di dove acquistare casa essendoci stato un recupero della “prossimità”. 

Al terzo posto Bolzano, in successione, al quarto e quinto posto, la provincia di Milano e quella di Bologna.  Se ci soffermiamo sui capoluoghi di queste ultime province, Milano e Bologna, sono quelli che stanno guidando la ripresa del mercato residenziale avendo messo a segno un aumento dei valori rispettivamente del 2,3% e del 2,0%. La provincia di Milano poi, si piazza al primo posto per la voce “reddito e ricchezza”.  Dato che non sorprende quello relativo alla provincia milanese e al capoluogo lombardo che va a spiegare anche un altro aspetto del mercato immobiliare: Milano è la città in cui le case sono più costose in Italia, con un prezzo medio al mq di quasi 4000 € al mq e in cui la disponibilità di spesa da destinare all’acquisto dell’abitazione è mediamente più alta rispetto ad altre metropoli italiane (maggiormente concentrata tra 250 e 349 mila €). Anche l’hinterland di Milano ha visto un recupero di prezzi e ad essere cresciute maggiormente sono stati comuni meglio collegati, tramite metropolitana, con la città. Si assiste infatti ad uno spostamento verso la provincia di Milano dove poter acquistare a prezzi più bassi o indirizzarsi su tagli più grandi, altro aspetto questo particolarmente enfatizzato dalla pandemia.

Nella classifica globale al sesto posto c’è la provincia di Firenze. Nel capoluogo il Covid ha penalizzato il comparto retail e turistico ricettivo ma si vedono i primi segnali di recupero. I prezzi delle case sono rimasti sostanzialmente stabili e si segnala un ridimensionamento della componente per investimento che nella città era indirizzato soprattutto al segmento turistico ricettivo.   

Merita un cenno Trieste, la cui provincia si è classificata nelle prime dieci posizioni. Se guardiamo al mercato immobiliare del capoluogo, Trieste ha realizzato uno dei recuperi più importanti dei valori nella prima parte dell’anno +9,3%. Negli ultimi anni, investitori nazionali e provenienti dalle nazioni confinanti, si stanno interessando alla città dove sono in corso diversi interventi di riqualificazione, incluso il rilancio del Porto Vecchio. Numerosi gli acquirenti veneti ma si contano anche tanti stranieri, austriaci e tedeschi che comprano sia per mettere a reddito sia come casa vacanza”.  

La casa immaginata dagli italiani. Una ricerca svela come cambiano le preferenze

Casa.it presenta i risultati della ricerca “La casa che immagino”, con cui ha dato voce ai propri utenti per capire come sono cambiate le loro aspettative e priorità immobiliari. Ecco dove le persone sognano la loro futura abitazione.

Sulla scorta dei profondi cambiamenti avvenuti nella domanda di abitazioni post-pandemia, il portale Casa.it ha coinvolto 3.600 persone nella ricerca denominata “La casa che immagino”, concepita per comprendere come le persone immaginano oggi la loro futura casa, le loro aspirazioni e priorità quando la cercano, e come queste siano cambiate negli ultimi due anni.

“Sono cresciuti la necessità e il desiderio di avere case grandi, luminose e confortevoli, vicino a spazi verdi e soprattutto vicino ai punti d’interesse utili per la vita quotidiana”, commenta Daniela Mora di Casa.it. In termini di obiettivi, l’acquisto della prima casa è quello principale per chi cerca casa oggi (39% degli intervistati), seguito da chi la comprerebbe per sostituire la prima casa con una più grande (27%) e da chi, al contrario, la comprerebbe per sostituire la prima casa con una più piccola (9%). Di contro, il 17% degli intervistati prenderebbe una casa in affitto quale scelta momentanea in attesa di acquisto (23% delle preferenze), oppure per motivi di lavoro (19%).

L’appartamento e la casa indipendente sono le tipologie più richieste; le persone cercano soprattutto case grandi e già abitabili o nuove. In dettaglio, il 42% degli intervistati cerca un appartamento, il 25% una casa indipendente, il 7% un attico, il 6% una villa, il 6% una villetta a schiera, il 5% una casa bifamiliare/tri familiare, il 4% un rustico/casale, e a seguire le altre tipologie. I trilocali, i quadrilocali e gli appartamenti con più di cinque locali sono in cima alle preferenze con rispettivamente il 33%, 29% e 25%. Il bilocale ottiene il 12% delle preferenze e il monolocale soltanto l’1%. Il 61% preferisce una casa già abitabile, il 26% una casa nuova, solo il 13% una casa da ristrutturare.

Le giovani coppie sognano la casa in periferia (44%), mentre i giovani single e le persone più adulte preferiscono il centro città (27%). Preferite anche le località di mare (13%), i piccoli borghi (10%), i paesini in montagna (4%) o sul lago (2%). A preferire maggiormente la casa in periferia sono maggiormente le coppie con o senza figli, rispettivamente 46% e 44%, ma anche i giovani adulti dai 26 ai 34 anni (55% del gruppo specifico) e dai 35-44enni (51%). Salendo con l’età, la preferenza per la periferia cala: solo il 40% dei 45-54enni cerca casa in periferia, il 34% dei 55-64enni e il 30% degli ultrasessantacinquenni. Invece il centro città è preferito soprattutto dai 18-25enni (37%) e dagli over 65 (31%), ma anche dai single (33%) e dalle famiglie monoparentali (28%). Una casa in un piccolo borgo è desiderata soprattutto dai 35-44enni (12%). Al crescere dell’età aumenta, quindi, il desiderio di abitare fuori città, al mare, in montagna e al lago.  

In testa alla classifica dei contesti di maggiore interesse ci sono negozi e servizi (54%), con un cambio rispetto ad un anno fa quando gli spazi verdi, giardini e parchi erano al primo posto con il 60% delle preferenze (oggi al secondo posto con il 53%). Di alto gradimento, naturalmente, anche la presenza di supermercati (48%), mezzi pubblici (39%), lavoro (25%), scuola e luoghi per il tempo libero (23%) e il mare (18%). Abitare vicino alla casa dei nonni (9%) è più importante di abitare vicino alla montagna (6%) o al lago (5%).

Dopo la pandemia, per gli italiani gli spazi essenziali nella futura casa sono il giardino privato e il box/garage a pari merito, al contrario di un anno fa quando l’esperienza del lockdown aveva portato al primo posto il giardino privato con il 58% delle preferenze con +7% rispetto al box/garage. Oggi gli altri spazi essenziali sono il soggiorno (49%), la cucina abitabile (47%), il terrazzo (46%), 2 o più bagni (45%), la cameretta per i figli (37%), il balcone (34%), il ripostiglio (31%). Seguono il locale lavanderia (26%), la camera per gli ospiti e la cantina (23%), la cucina a vista (21%), la cabina armadio (18%), lo studio o spazio per lo smart working (17%), la stanza/luogo per le passioni (14%) e l’area palestra (4%). La cabina armadio, in particolare, è essenziale soprattutto per single e coppie senza figli, mentre il box/garage soprattutto per le coppie che siano con figli o senza, rispettivamente 54% e 53%.

Tra le caratteristiche o i servizi che la futura casa dovrebbe avere, al primo posto troviamo la luminosità, con il 71% delle preferenze, al secondo il riscaldamento autonomo (62%), al terzo una bella vista (46%), al quarto l’aria condizionata (38%), al quinto la connessione Internet veloce (32%), al sesto una casa più grande di quella attuale (30%), al settimo l’accessibilità con il resto della città e l’esterno (28%), all’ottavo l’elevata classe energetica (27%), al nono l’isolamento acustico (25%), al decimo il cortile (18%), all’undicesimo la domotica (9%), al dodicesimo la casa modificabile con pareti mobili (6%), al tredicesimo il servizio di portineria (5%), al quattordicesimo i locker per le consegne a domicilio (3%).

I pensionati preferiscono i trilocali. Su la domanda per soluzioni indipendenti

Il segmento di mercato immobiliare dei pensionati vale circa il 7% del totale. Gli over 65 acquistano soprattutto i trilocali, ma mostrano una certa preferenza anche per le soluzioni indipendenti e per gli acquisti da investimento.

L’analisi delle compravendite e delle locazioni effettuate attraverso le agenzie del Gruppo Tecnocasa nel 2021 evidenzia che i pensionati hanno acquistato nel 75,5% dei casi, mentre hanno optato per l’affitto nel 24,5% dei casi. Si tratta di percentuali simili a quelle registrate nel primo semestre del 2019, mentre nel 2020 la componente affitto aveva evidenziato una crescita arrivata al 27,4%. In particolare, nella prima parte del 2021 il 7,1% degli acquisti è stato concluso da pensionati. La quota è in leggero calo se confrontata con gli stessi periodi del 2020 e del 2019 quando si attestava rispettivamente al 7,8% ed all’8,2%.

I pensionati che hanno comprato casa nel 2021 lo hanno fatto per viverci (68,6% dei casi per abitazione principale) o per investire (22,4%), oppure ancora per acquistare la casa vacanza (9,1% dei casi). Nella prima parte del 2020, in piena pandemia, gli acquisti per investimento avevano evidenziato una contrazione (20,2%), ma in questa prima parte del 2021 la quota è risalita al 22,4%, percentuale comunque inferiore a quella registrata nel 2019 e quindi nel periodo antecedente alla pandemia. Le compravendite di case vacanza evidenziano percentuali simili nella prima parte del 2020 e del 2021, intorno al 9%, mentre nel 2019 si arrivava al 10,3%.

I pensionati comprano soprattutto trilocali, arrivati al 41,9% delle scelte nella prima parte del 2021, il semestre però segnala un salto in avanti delle soluzioni indipendenti e semi-indipendenti che passano dall’11% del 2019-2020 all’attuale 13,5%. Anche i pensionati, infatti, causa pandemia, hanno optato più spesso per abitazioni dotate di spazi esterni. Da segnalare infine la progressiva contrazione della percentuale di acquisto di bilocali che, tra il 2019 ed il 2021, passano dal 28,5% al 22,8%, effetto attribuibile anche in questo caso alla pandemia che ha penalizzato le soluzioni dalle metrature contenute.

I pensionati che acquistano fanno parte di una famiglia o di una coppia nel 66,1% dei casi, mentre si tratta di single, vedovi/e, divorziati e separati nel restante 33,9% dei casi. La quota di pensionati che acquista accendendo un mutuo, naturalmente, è piuttosto bassa, e nel primo semestre del 2021 si attesta al 14,9% sul totale delle compravendite. Si tratta comunque di una percentuale in lieve crescita rispetto al 2019 ed al 2020, probabilmente grazie ai tassi sui mutui sempre convenienti.  

Acquisto di nuda proprietà immobiliare, una scelta di puro investimento

Perchè vendere o acquistare una nuda proprietà? I dati di Tecnocasa ci aiutano a capire quali sono le attuali dimensioni di questo particolare segmento di mercato immobiliare, e qual è l’identikit di chi le compra e chi le vende. 

Quelli di nuda proprietà e di usufrutto sono concetti di cui si sente molto parlare, ma con i quali difficilmente ci si imbatte nella pratica quotidiana, dal momento che vendere separatamente le due componenti del diritto di proprietà non è una operazione frequente (sebbene negli ultimi venti anni gli scambi siano aumentati sensibilmente ed oggi si contano in diverse migliaia).

In sintesi, con l’acquisto della nuda proprietà un acquirente ottiene la proprietà dell’immobile senza però poterlo utilizzare fino alla scadenza prefissata dell’usufrutto o fino alla morte dell’usufruttuario, il quale conserva il diritto all’utilizzo della casa. Questa particolare forma di cessione di un diritto reale è regolata dall’articolo 832 del Codice Civile, secondo il quale il nudo proprietario di un immobile, sebbene non possa farne uso, potrà offrirlo in garanzia per un credito, costituire dei diritti reali minori a favore di terzi e persino rivenderlo ad altri soggetti. Resta da capire se si tratta di una operazione conveniente e, soprattutto, quali caratteristiche devono avere l’immobile e l’usufruttuario-venditore per rendere appetibile l’investimento, perché è proprio di un investimento di cui si sta parlando quando si valuta l’acquisto di una nuda proprietà.

Del resto, il trasferimento della proprietà integrale (nuda proprietà più usufrutto) si può verificare per morte dell’usufruttuario, scadenza del periodo di usufrutto (se si è stipulato un contratto di vendita con usufrutto temporaneo al venditore), per mancato utilizzo dell’immobile da parte dell’usufruttuario per più di venti anni – si noti la somiglianza del limite temporale con quello dell’Usucapione – e infine per deperimento dell’immobile causato dall’usufruttuario che non effettua opere di manutenzione e determina il deterioramento materiale del bene e del suo valore di mercato.

Pur trattandosi di una operazione non semplice, la vendita della nuda proprietà presenta dei vantaggi per entrambe le parti. Per chi vende, il vantaggio è quello di ottenere la disponibilità di una somma anche ingente pur conservando il diritto di utilizzare l’abitazione. Per chi acquista, il vantaggio è quello di comprare gli immobili a un prezzo più conveniente, realizzando così un investimento di medio-lungo termine oppure trasmettere ai figli una casa rivalutata, fermo restando il diritto a rivendere l’immobile in qualunque momento, anche prima del termine dell’usufrutto. Infatti, il valore della nuda proprietà aumenta con l’aumentare dell’età dell’usufruttuario, il quale ha anche degli obblighi specifici, come quello di tenere la casa in ottime condizioni di manutenzione e di rispettarne la destinazione economica (abitativa o produttiva) che essa aveva al momento della vendita.

Relativamente al calcolo del prezzo della nuda proprietà, esso si effettua partendo dal valore di perizia dell’immobile, e moltiplicare il valore così determinato per il tasso di interesse legale vigente e per i coefficienti redatti dal Ministero delle finanze che tengono conto dell’età dell’usufruttuario. Il prezzo finale della compravendita, pertanto, sarà dato dalla differenza tra il valore di mercato e il valore dell’usufrutto, e sarà direttamente proporzionale all’età dell’usufruttuario (maggiore è l’età, maggiore è il prezzo).

Quali sono le attuali dimensioni di questo particolare segmento del mercato immobiliare, e qual è l’identikit di chi compra o vende nude proprietà? Dall’analisi dei dati realizzata dall’Ufficio Studi Tecnocasa, l’82,4% di chi vende lo fa per reperire liquidità e mantenere un certo tenore di vita, oppure per far fronte ad esigenze legate all’avanzare dell’età e a volte per sostenere i figli nell’acquisto della casa. Nel 2021, il numero complessivo di compravendite di nude proprietà mostra una tendenza in lieve aumento rispetto al 2020 (+5,7%), ma comunque in calo rispetto al periodo pre-pandemia. Nel primo semestre del 2021 l’81,8% delle compravendite di nuda proprietà è stato finalizzato all’investimento a lungo termine. Si tratta di una percentuale in crescita sia rispetto al 2020 sia rispetto al 2019.

Gli acquirenti di nuda proprietà più attivi sul mercato sono quelli con un’età compresa tra 35 e 44 anni, che compongono il 32,4% del totale, mentre sono basse le percentuali di acquisto da parte degli under 35 e degli over 65. Nella maggior parte dei casi a comprare nude proprietà sono coppie e coppie con figli che compongono il 67,6% del totale e che comprano soprattutto il trilocale (43,2% delle preferenze), e a seguire i 4 locali con il 21,6%. Nel 2021 le compravendite di tipologie indipendenti si attestano al 10,8% del totale, in calo rispetto al 2020 ma in aumento rispetto al 2019 quando, nella prima parte dell’anno, si fermavano al 7,0%. Inoltre, nel 2021 solo il 13,5% degli acquisti di nuda proprietà si è concluso grazie all’ausilio di un mutuo, mentre nell’86,5% dei casi l’acquisto è avvenuto in contanti.

Per quanto riguarda i venditori di nuda proprietà, la maggioranza di essi appartiene a nuclei familiari monocomponente. Nel 57,6% dei casi, infatti, si tratta di single, vedovi, divorziati e separati. Nel 62,2% dei casi i venditori hanno un’età superiore a 65 anni. La maggior concentrazione degli immobili proposti con la formula della nuda proprietà sono ubicati in Lombardia, con 1.916 immobili; a seguire Lazio (1.216), Veneto (1.117), Piemonte (706) e Toscana (434). Le tipologie in nuda proprietà sono costituite principalmente da appartamenti, ma non mancano soluzioni indipendenti, come ville, porzioni di ville e rustici.

Per quanto riguarda la domanda di immobili in nuda proprietà, nel periodo del lockdown si era evidenziato un boom generale di ricerche sul Web, con un +135%. I dati oggi risultano normalizzati, e i valori delle ricerche sono tornati per lo più stabili o in lieve crescita rispetto al periodo pre-lockdown.

Mercato immobiliare, primo semestre 2021 oltre le aspettative. Studenti, locazioni in ripresa

Tecnocasa fotografa il mercato immobiliare 2021. Nel complesso, una prova di grande recupero dopo le pessime aspettative del primo lockdown, con un ritorno di interesse degli acquirenti verso le realtà più piccole. Gli studenti cominciamo a ripopolare le città universitarie.

“Nel corso del 2020 il mercato immobiliare ha dato prova di grande recupero – afferma Fabiana Megliola, Responsabile Ufficio Studi Gruppo Tecnocasa – e ha superato di gran lunga le aspettative che si erano create subito dopo il lockdown. I dati sull’anno dell’Agenzia delle Entrate, infatti hanno confermato un recupero delle transazioni che chiudono con un ribasso del 7,6%, meno consistente di quello atteso. I primi sei mesi del 2021 hanno poi registrato un aumento dei volumi del 38,6% che ha interessato, in modo particolare, le realtà più piccole rispetto ai capoluoghi a conferma di un fenomeno che ha visto post pandemia un mercato più vivace proprio nelle città più a misura d’uomo”.

Questa la fotografia dello stato di salute del mattone italiano realizzata dall’Ufficio Studi del Gruppo Tecnocasa nei primi sei mesi del 2021 e per l’intero 2020. Nel 2020 era aumentata la domanda di abitazioni indipendenti e semi-indipendenti grazie anche alla spinta del superbonus, e la tendenza si conferma anche nel 2021, coinvolgendo la domanda di case con spazi esterni e dalla metratura più ampia. Peraltro, il mercato dei mutui decisamente favorevole consente di tentare l’acquisto migliorativo, ma bisognerà fare i conti con l’atteggiamento degli istituti di credito che pur propensi ad erogare si stanno muovendo con prudenza.

Secondo Fabiana Megliola, sia il 2020 sia i primi mesi del 2021 segnalano una tenuta del segmento della prima casa e della casa vacanza ma una contrazione del segmento dell’investimento. Gli investitori, infatti, soprattutto nelle metropoli e se indirizzati verso gli affitti brevi, si sono fermati. Si stanno però attivando piccoli investitori che considerano il mattone ancora una valida modalità di impiego del capitale, meno volatile di altre forme di investimento e, soprattutto, in grado di essere un vero bene rifugio. E questo è un importante segnale di fiducia nel settore.  

Il 2020 ha visto chiudere i prezzi degli immobili con -1,5%, ma il 2021 registra segnali di crescita in quasi tutte le grandi città, a cominciare da Milano che, insieme a Verona e Bari, avevano chiuso in positivo anche il 2020. Un leggero recupero delle quotazioni interessa anche realtà più piccole che offrono una vita più a misura d’uomo. Alcune realtà dell’hinterland sembrano uscire a testa alta da questo periodo, soprattutto se ben collegate con le metropoli.  Bene anche le periferie delle grandi città, dove si conferma la rivalutazione degli immobili dotati di spazi esterni.

Il mercato delle locazioni, che aveva chiuso il 2020 con canoni in ribasso (-1,6% il ribasso dei canoni di locazione dei monolocali, -2,2% il ribasso dei canoni di locazione dei bilocali e dei trilocali), appare in ripresa grazie ad un discreto aumento della domanda di immobili soprattutto nelle grandi città, ma l’offerta residenziale risente della destinazione di molti appartamenti al segmento degli affitti brevi. Altro aspetto da valutare sarà un possibile aumento della domanda da parte di chi non dovesse più essere in grado di accedere al credito per le peggiorate condizioni economiche. Invece il segmento delle case vacanze, che era stato colpito in pieno dalla pandemia nel corso del 2020, sta recuperando lentamente, con diverse località di mare e montagna che sono state sold out già da gennaio. Anche sulla casa vacanza si registra un aumento delle preferenze per le soluzioni indipendenti così come una riscoperta di alcune località minori che consentono l’acquisto anche a chi ha budget più contenuti.  

Sempre sul fronte delle locazioni, buone notizie dal mercato degli affitti agli studenti, che è stato tra i più colpiti dalla pandemia per via della chiusura degli atenei. A partire da giugno, infatti, si è registrato un incremento di richieste che però restano ancora un po’ distanti dai livelli pre-pandemia, a testimonianza di un graduale rientro nelle città universitarie. Nel secondo trimestre del 2021 la percentuale di chi ha cercato casa in affitto per motivi di studio è stata del 4,7%, in aumento rispetto al 2,7% registrato nello stesso periodo dell’anno scorso. “Con l’avanzamento della campagna vaccinale si iniziano a vedere una ripresa della domanda di immobili in affitto soprattutto in quelle realtà in cui le università hanno già deciso le modalità di frequenza – afferma Fabiana Megliola. Non tutti gli atenei hanno definito come sarà il rientro ma in alcune città come Napoli, Roma, Torino e Milano si stanno già stipulando contratti di locazione con studenti”.

Le caratteristiche dell’immobile richieste sono sempre quelle della vicinanza alla facoltà universitaria, la presenza dei mezzi pubblici, un buon arredamento e la presenza del collegamento ad internet. Si è rafforzato il trend che vede una preferenza per il posto letto singolo rispetto alla condivisione che rimane solo in caso di studenti appartenenti allo stesso nucleo familiare. Nel 2020, a causa della bassa domanda, i canoni di locazione sono diminuiti e, al momento, nonostante un aumento della domanda, non sembrano esserci tensioni sui valori.