Settembre 11, 2025
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Il “codice” MiFID e l’asimmetria informativa. L’educazione finanziaria ha un valore economico?

Oggi esiste un sistema stabile di monitoraggio, sorretto da analisi statistiche di buon livello scientifico e da indagini comparative dei livelli di educazione finanziaria presenti in altri paesi del mondo. Tuttavia, il compito di educare gli italiani in materia di finanza personale rimane pressoché impossibile. Ecco perchè.

Di Alessio Cardinale

L’Educazione Finanziaria, la tutela dei consumatori in materia di servizi e strumenti finanziari, nonchè le politiche di Inclusione Finanziaria sono da qualche anno riconosciute come elementi fondamentali di conoscenza degli individui e di stabilità del sistema finanziario europeo. Fin dal 2010, ai più alti livelli mondiali, questi principi sono stati “sdoganati” dai vari G20 nel frattempo effettuati (Inclusione finanziaria innovativa nel 2010, Tutela finanziaria dei consumatori nel 2011 e Strategie nazionali per l’educazione finanziaria nel 2012).

Di recente, 26 paesi ed economie (di cui 12 membri dell’OCSE), provenienti da Asia, Europa e America Latina hanno dato vita alla seconda indagine internazionale sull’alfabetizzazione finanziaria, stabilendo che la sua diffusione sia uno dei tre obiettivi principali, e che l’Italia non sia messa proprio bene. Infatti, secondo l’International Survey of Adult Financial Literacy e Global Financial Literacy Survey (Rapporto 2020), gli italiani che investono sono in larghissima parte degli “analfabeti finanziari”, e non conoscono concetti basilari come quelli di inflazione, interesse (semplice e composto) e diversificazione.

Da circa cinque anni, il problema della scarsa educazione finanziaria degli italiani viene discusso finalmente con una certa assiduità, ed è entrato a pieno titolo anche nel novero delle politiche a sfondo sociale degli ultimi governi lungo il corso delle ultime legislature. Pertanto, nel loro complesso, esiste oggi un sistema stabile di monitoraggio, sorretto da diffuse dichiarazioni di principio, da analisi statistiche di buon livello scientifico e da indagini comparative dei livelli di educazione finanziaria presenti in altri paesi del mondo.

Tuttavia, il compito di educare gli italiani in materia di finanza personale, così restando le cose, rimane pressoché impossibile. Infatti, oltre al fatto che le basi della buona gestione del denaro e dei risparmi non sono state ancora inserite a pieno titolo – insieme alla “grande assente”, e cioè l’educazione civica e solidale – quale materia fondamentale fin dalle scuole elementari (al pari della lingua italiana o della matematica), l’attuale “corredo educativo” disponibile agli investitori e agli stessi consulenti finanziari è composto da un coacervo di norme che, attraverso i profondi cambiamenti avvenuti negli ultimi trent’anni, oggi costituisce un vero e proprio “codice”.

Soltanto la MiFID II, per esempio, è articolata in 1.400 norme distribuite su circa 7.000 pagine, ed un intero corso di laurea triennale sarebbe appena sufficiente a disciplinare la conoscenza della materia anche per gli studenti più brillanti. Eppure, il sistema finanziario europeo, nel quale l’Italia è entrata a far parte ratificando le MiFID, pretende che, prima di sottoscrivere un servizio di investimento, un investitore debba leggere e comprendere da solo la complessità della materia che disciplina il prodotto che andrà ad utilizzare per gestire i propri risparmi, limitandosi ad assimilare la “traduzione” effettuata, con grande spirito di sacrificio – e relativi rischi connessi alla mancata comprensione in buona fede da parte del cliente di elementi fondamentali dell’investimento – proprio dai consulenti; i quali, essendo il terminale della comunicazione di questa lunga catena di distribuzione della conoscenza finanziaria (UE, ESMA, BCE, CONSOB, Sistema Bancario, reti di consulenza, consulenti, investitori), detengono un compito molto delicato, che li espone ad un altissimo livello di responsabilità rispetto al trattamento economico ricevuto. Nessun compenso, infatti, è previsto per l’educazione finanziaria da impartire ai singoli risparmiatori, così come nessuna disciplina organizzata è prevista in capo al sistema bancario e allo stesso Stato.

Insomma, se ne parla tanto e si fa davvero poco per consulenti finanziari e risparmiatori, e non è certo colpa delle reti non si riesce ad andare oltre alle mere dichiarazioni di intenti. Persino la campagna culturale mondiale a beneficio degli obiettivi di sostenibilità (ESG), improntata su basi emozionali di forte impatto collettivo, sembra culturalmente più accessibile di quella sull’Educazione Finanziaria.

Nonostante questo problema di base, il sistema (e chi lo regolamenta) si preoccupa ancora oggi di inondare il risparmiatore di informazioni difficili e talvolta incomprensibili. In concreto, all’atto dell’apertura di un nuovo rapporto (es. conto corrente più deposito titoli), un investitore viene sottoposto ad un bombardamento cartaceo di informazioni – per lo più indecifrabili – che totalizza circa 50 pagine e una quindicina di firme. Il sistema MiFID, pertanto, dà per scontato che l’investitore medio, grazie alla lettura di questa massa enorme di informazioni, comprenderà  in maniera semplice la tutela implicita contenuta negli strumenti finanziari, il concetto di conflitto di interessi e la sua disciplina, i costi applicabili ai servizi sottoscritti/da sottoscrivere ed il concetto di best execution, che viene proposto con un inopportuno inglesismo anziché in una più accessibile traduzione in lingua madre.

Ebbene, Un sistema basato su tale enorme asimmetria informativa tra chi offre prodotti finanziari e chi li compra al dettaglio necessiterebbe, da parte delle stesse autorità finanziarie, di una proditoria semplificazione – anche concedendo una delega formativa al sistema bancario, sotto il controllo della Consob – oppure di una fase preliminare di spiegazione e trasferimento della conoscenza all’investitore come “condizione di procedibilità” all’investimento (ad esempio, attraverso un test preliminare).

Peccato che questa funzione non sia prevista, nonostante i consulenti finanziari facciano un lavoro egregio – e non retribuito, al pari delle mansioni amministrative – di informazione ed educazione finanziaria, districandosi anche loro tra mille regolamenti e continui aggiornamenti che, naturalmente, non arrivano alla clientela e si fermano all’interno del sistema. Gli investitori, infatti, non provano neanche più a leggere i contratti, rassegnati a “non voler capire” nulla di fronte ad un sistema che percepiscono come immutabile, come una creatura talmente “elevata” da richiedere un atteggiamento dogmatico e, quindi, l’assoluta inutilità di osservare le più elementari regole di informazione e controllo.

Viste queste premesse, se davvero il sistema finanziario europeo è determinato a “educare” il popolo dei risparmiatori fino a far loro acquisire un buon grado di autonomia, e se davvero si vuole fare dei consulenti finanziari gli attori principali dell’educazione finanziaria, le regole andrebbero riviste fin dalle basi, attribuendo un valore economico – e degli obiettivi di quantità/qualità, naturalmente – all’attività di educazione finanziaria svolta dai consulenti, oppure creando delle figure professionali regolarmente retribuite dal sistema, presenti in ogni rete di consulenza finanziaria e “a servizio” dei consulenti, soprattutto di quelli giovani, chiamati ad assicurare il ricambio generazionale della categoria ma non ancora pervenuti.

Top Management, anche nelle aziende lo spettro della parità forzosa di genere. E la meritocrazia?

Che fine sta facendo la meritocrazia in azienda e nelle professioni? Perché oggi si rende quasi imprescindibile imporre anche alle imprese il credo della parità forzosa tra genere femminile e maschile? Quali sono le tecniche di comunicazione dei media che favoriscono questo pericoloso cambio di passo?

Editoriale di Alessio Cardinale*

C’era una volta il principio di pari opportunità tra uomini e donne. Fu salutato, a suo tempo, come una giusta conquista di civiltà, grazie alla quale anche le donne avrebbero potuto godere, in tutti gli ambiti della Società Civile, delle stesse prerogative legislative e regolamentari per ambire, esattamente come gli uomini, ad un lavoro soddisfacente, ad una posizione di carriera e ad un identico trattamento economico, a tutti i livelli. Per arrivarci c’è voluto un po’ di tempo, ma l’obiettivo è stato raggiunto, ed oggi possiamo già annoverare tantissime donne in posizioni apicali e di vera leadership in economia, in politica e nei media (per non dire dei magistrati donna, che sono il 53% del totale in Italia).

Qual è il comune denominatore che ha portato queste donne ai vertici della carriera? Semplice: un mix di qualità personali, competenza, esperienza, ambizione, impegno e un pizzico di fortuna. In poche parole, lo hanno meritato. Si tratta di donne che si sono messe in gioco, si sono impegnate senza pensare neanche per un attimo di poter avere una corsia preferenziale. Di più, nessuna di loro avrebbe mai sopportato l’umiliazione derivante da una sorta di “raccomandazione di genere“.

Il principio di meritocrazia, pertanto, associato a quello delle pari opportunità, ha consentito di raggiungere questo risultato che si è consolidato negli anni, e di fronte al quale le continue rivendicazioni di genere – alimentate da una certa politica  senza troppi scrupoli e molto attenta a fidelizzare il voto femminile – dovrebbero finalmente avere un termine.

La normalità, oggi, dovrebbe essere quella di una civile competizione tra professionisti – non distinguendo affatto per il loro genere – senza che nessuno di essi vada a ricercare delle scorciatoie per ottenere dei privilegi. Invece, in Italia si sta andando pericolosamente oltre il concetto di meritocrazia. Dopo l’affermazione dei principi di pari opportunità, infatti, a molti fu chiaro che qualcosa non aveva funzionato benissimo nel tradurre gli enunciati di principio in ordini di realtà. Infatti, l’Italia si è ritrovata con una pletora di commissioni P.O. costituite in ogni anfratto della Società Civile e delle attività produttive, composte ope legis solo da donne, in evidente contrasto con la più elementare delle regole costituzionali, quella che vieta espressamente anche la discriminazione per genere. Successivamente, è arrivato il turno delle “quote rosa” in politica, e lì fu subito chiaro che il corposo universo che sostiene questo modo di intendere le relazioni uomo-donna non puntava all’affermazione delle “antiquate” pari opportunità di genere, ma ad un arbitrario e ingannevole superamento di esse, individuabile nel concetto di “Parità Forzosa”.

Cosa intendiamo per “parità forzosa”? Per renderla più simpatica, gli illuminati della (dis)informazione la chiamano “diversity“, ma il suo vero nome dovrebbe essere “shortcut” (scorciatoia). Per chiarire meglio, facciamo un esempio: se una donna studia, si impegna, prende la laurea, frequenta con successo un master, fa la giusta gavetta, mostra di essere brava ed avere “i numeri” per ricoprire un certo ruolo, e lo ottiene, questo è frutto delle pari opportunità; se una donna ottiene il ruolo solo “in quota”, e cioè in virtù della sua appartenenza al genere femminile, senza aver prima dimostrato di avere studiato, di essersi impegnata, di avere una laurea, di aver frequentato un master, di aver fatto la gavetta, di essere brava ed avere i numeri, questo è frutto della parità forzosa, ed è quello che sta succedendo in Italia anche nel mondo aziendale (in politica nazionale e regionale ormai è la norma).

In pratica, il criterio della meritocrazia, che nei secoli dalla rivoluzione industriale ha fatto andare avanti il mondo, viene sostituito dal criterio di raggiungimento della parità forzosa in tutti gli ambiti della Società Civile, nel nome di un evidente “diritto alla scorciatoia e al privilegio” di cui TUTTE le donne – anche quelle senza arte né parte – dovrebbero beneficiare. Nella pratica, ciò equivale alla creazione di una immensa categoria protetta il cui “handicap” sarebbe quello di essere donna e che, in relazione alle sue proporzioni, non può che sopraffare l’opposto genere condannato, invece, alla “normalità”.   

Gli esempi di quanto sopra si trovano a decine, ogni giorno, sui media, grazie ad un elevatissimo livello di omologazione cui l’informazione in Italia si presta volentieri sul tema. Di solito, la notizia viene data con le seguenti modalità: “…Ancora bassa la percentuale di donne tra i dirigenti d’azienda nel settore farmaceutico…”, oppure “….Solo il 12% di donne tra la classe arbitrale nel mondo del calcio…”, oppure ancora “….soltanto 10 donne su 100 sono a capo di una filiale bancaria…” (ed altre, che replicano il medesimo stile). Peraltro, anche il settore della Consulenza Finanziaria non è esente da questa modalità di narrazione. Non è raro, infatti, leggere titoli come “Consulenti finanziari, solo il 25% è donna“. In pratica, la “notizia” è che sarebbero poche, in determinati settori, le donne in posizione di rilievo, ma quali siano le cause di queste percentuali non viene minimamente detto, facendo però intendere il lettore che tutto ciò sia il risultato di una forma di discriminazione ai danni delle pari opportunità delle donne, per cui è necessario imporre il modello della “parità forzosa”, con buona pace della meritocrazia.

Capovolgendo l’esempio al maschile, e facendo riferimento a statistiche autentiche riguardanti il mondo del lavoro, avete mai letto una notizia dal titolo “Solo 15 uomini su 100 svolgono il lavoro di insegnante“? Ovvio che no, così come scommetto che nessuno di voi abbia mai letto una notizia che dica “Quasi nulla la percentuale di donne presenti nell’industria estrattiva e nei trasporti di lunga percorrenza“. Nel primo caso, nessun uomo grida allo scandalo, nè si sente discriminato; quella statistica è frutto di scelte, non di una discriminazione verso il genere maschile nel mondo della Scuola. Relativamente al secondo titolo ipotetico – quello del lavoro in miniera o su un TIR – ci si chiede perchè le donne, in termini di genere, rivendicano (legittimamente) posizioni di vertice nelle aziende, ma non si ritengono idonee a svolgere lavori pesanti. Anche questo, mi pare, è tutto frutto di una scelta.

I comunicati stampa, poi, ci danno esempi di rara bellezza stilistica su questo tipo di informazione strumentale. Lo scorso 7 Ottobre, per esempio, Askanews usciva con questa agenzia: “…In Esselunga solo il 15% dei dirigenti sono donne: in pratica su un totale di 80, le dirigenti sono appena 12. E’ quanto emerso durante la conferenza stampa di Esselunga, che ha per presidente proprio una donna, Marina Caprotti, organizzata in occasione della presentazione, tutta al maschile, del primo bilancio di sostenibilità aziendale…”. Per chi studia la materia della comunicazione – ivi compresa quella che si genuflette al politicamente corretto e agli ordini di scuderia – questo comunicato è oro colato. Peraltro, Luca Lattuada, chief Human resources office di Esselunga, ci teneva a precisare che “…Noi siamo una azienda di circa 25mila persone, che per circa il 50% è fatta da donne, ma ci sono aree dove i ruoli di responsabilità dati alle donne, come quelle degli store, sono sicuramente da migliorare. Abbiamo avviato un percorso di formazione e sviluppo della leadership femminile per fare crescere questa quota“.

Ebbene, chi ha pronunciato questo virgolettato –e stiamo parlando di un top manager, mica poco – si è semplicemente limitato a ripetere senza riflettere il mantra della parità forzosa e delle quote (rosa), ma non sa neanche il motivo per cui si renderebbe necessario un “miglioramento”. Del resto, come potrebbe mai spiegare la questione, se non essendo costretto ad affermare la priorità di assegnare ruoli decisionali alle donne solo per la circostanza di essere tali, in barba al millenario principio di meritocrazia che ha sempre dominato le dinamiche ed il successo delle aziende?

C’è da dire che nel 2019 Esselunga ha registrato un aumento di donne nei ruoli chiave pari al 17% rispetto all’anno precedente. A questo punto, verrebbe da chiedersi se queste manager, quel ruolo, lo abbiano meritato davvero, oppure lo abbiano ricevuto in base al criterio della parità forzosa, e cioè per via della propria appartenenza al genere femminile. “Questo non è un cambiamento che si fa nel breve” – ha sottolineato Lattuada – “In questo percorso di cambiamento si inseriscono iniziative che prevedono workshop aziendali e interaziendali per superare gli stereotipi e creare organizzazioni più inclusive…”.

Forse la meritocrazia in azienda, secondo il top manager Lattuada, è diventata un vecchio stereotipo ormai superato e privo di valore? Così, per capire.

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”, dice la nostra Costituzione all’art. 3. Forse è il caso che questo concetto venga fatto proprio dai CdA delle grandi aziende, affinchè se ne ricordino prima di far celebrare l’elogio della parità forzosa ai propri top manager.

* Direttore editoriale di Patrimoni&Finanza

Il Fatto Quotidiano, i fattoidi e l’ideologia contro i consulenti finanziari

Perché il Fatto Quotidiano si accanisce contro i consulenti finanziari? Quando le ideologie scarseggiano, l’informazione spesso le crea dal nulla, lanciando false teorie prive di qualunque fondamento scientifico, ma ripetute con una certa regolarità da soggetti scarsamente autorevoli e molto disponibili.  

Di Alessio Cardinale*

Qual è la differenza tra Teoria e ideologia? La prima è sorretta da studi, statistiche e ricerche effettuate con estrema razionalità da studiosi autorevoli (i teorici) nel corso degli anni; e quando viene annunciata pubblicamente, la Teoria deve anche dimostrare, con stime e risultati inconfutabili, l’esistenza di un certo fenomeno (sociale, economico, naturale etc), in base al quale i c.d. decisori – i governi, le democrazie parlamentari e gli organismi mondiali – adotteranno (o meno) scelte a beneficio della Collettività. La seconda, invece, è basata su idee elaborate strumentalmente da una piccola cerchia di soggetti (gli ideologi), affatto interessati allo studio di un fenomeno ma dotati di una certa posizione di potere, grazie alla quale sfruttano gli elementi non razionali (emozioni e sentimenti collettivi) della comunicazione e riescono così ad orientare l’opinione di certe fasce di popolazione.

In pratica, mentre le prime servono a trasferire “conoscenza utile” a chi deve risolvere problemi pratici, le seconde “….servono a risolvere l’incertezza e a soddisfare l’umano bisogno di comprendere e prevedere ciò che accade, per fronteggiare l’ansia e mantenere l’autostima. La conferma della propria ideologia aumenta il senso di sicurezza, la disconferma provoca invece ansia e accresce il senso di vulnerabilità. Quando l’ideologia è in pericolo, le persone che credono in essa si impegnano per riaffermarla…” (Chiara Volpato).

Non è superfluo aggiungere che, storicamente, le teorie sono state sempre uno strumento proprio delle democrazie, mentre le ideologie esclusivo appannaggio delle peggiori dittature. Entrambe, però, trovano un comune denominatore nell’Informazione e nei media, di cui hanno bisogno per propagarsi e sopravvivere nel tempo.

In Italia, l’Informazione non è esattamente “libera e indipendente”, ma asservita a gruppi di potere che fanno a gara per possedere i maggiori organi di stampa con cui influenzare l’opinione pubblica. Pertanto, al netto dei piccoli editori, i media italiani sono particolarmente sensibili alle ideologie, con le quali riescono a creare il terreno per raggiungere obiettivi di natura politica e, a cascata, proteggere interessi di natura economica. E quando le ideologie scarseggiano o non sono più efficaci, l’Informazione italiana le crea dal nulla: è sufficiente lanciare una “falsa teoria” – priva, cioè, di qualunque fondamento scientifico – nutrendola di singoli episodi (che non costituiscono fenomeno a sé stante), e poi farla ripetere a soggetti per niente autorevoli, ma molto disponibili, con una certa periodicità, al fine di mantenere alto il livello di attenzione dell’opinione pubblica su alcuni c.d. fattoidi (“notizie prive di fondamento, ma diffuse e amplificate dai mezzi di comunicazione di massa al punto da essere percepite come vere”) attribuiti agli “avversari” di turno, i quali di solito appartengono ad una intera categoria di individui avente interessi in contrasto con il gruppo di potere a cui l’ideologia è asservita.

In sintesi, si tratta di garantire basse questioni di interesse e/o di potere, e non del rispetto di alti principi.

Beppe Scienza

Da qualche anno, con una certa regolarità, il Fatto Quotidiano sferra attacchi di matrice ideologica (e non teorica) ai consulenti finanziari, e lo fa ospitando i contenuti scritti da soggetti autoreferenziali, di scarsa autorevolezza, però molto disponibili, i quali, in cambio di immeritata visibilità, sparano a zero contro l’intera categoria professionale dei professionisti della finanza. Degli attacchi del prof. Beppe Scienza sul Fatto Quotidiano ci siamo occupati in passato ed anche di recente, per cui non è il caso di impiegare altro tempo. Lo scorso 8 Agosto, però, è stato il turno del dottor Vincenzo Imperatore, “consulente di direzione, giornalista e saggista”, come si definisce lui stesso, il quale ha in comune con il prof. Scienza l’uso di una terminologia volutamente dispregiativa verso i consulenti finanziari, definiti ora “promotori” (vecchia denominazione), ora “venditori porta a porta” (come i piazzisti di enciclopedie o di aspirapolveri di un tempo) oppure “consulenti-squalo”.

Nel suo articolo dal titolo “Basta ai continui cambi di casacca dei consulenti finanziari!”, Vincenzo Imperatore mostra di sapere utilizzare bene la “tecnica del fattoide”, ammantando di negatività quelli che lui definisce “cambi di casacca” i quali, invece, altro non sono che l’esercizio di un sacrosanto diritto di qualunque professionista al cambiamento ed al miglioramento delle proprie condizioni lavorative ed economiche, nel rispetto delle norme che regolano il mercato del lavoro.

Vincenzo Imperatore

In particolare, Imperatore inventa due fattoidi; il primo è sintetizzato nella frase “…Se il vostro consulente finanziario cambia casacca e passa a lavorare per un’altra banca, fate attenzione! Perché lui, in tal caso, guadagna un bel po’ di soldini (“premio di ingaggio”) dal nuovo intermediario per effetto del trasferimento del suo patrimonio gestito (……) e voi vi potreste trovare nella condizione di dover sostenere pro-quota, senza accorgervene, quel costo….”. In questo caso, il fattoide (falso come una banconota da due euro) è il seguente: “i clienti del consulente che va a lavorare per un’altra banca dovranno sostenere il costo del premio di ingaggio”. La realtà, invece, è esattamente opposta: in occasione di un “cambio di casacca”, il consulente sopporterà il rischio di perdere parte della clientela che si è guadagnata con il sudore della fronte, e la banca “ricevente” dovrà investire interamente, nel nuovo collega, le somme relative al premio di ingaggio, che nei successivi due o tre anni peseranno sul suo conto economico. Il cliente, dal canto suo, non pagherà proprio niente, nè direttamente, nè indirettamente. Infatti, per avere successo nel trasferire clientela alla nuova banca, il consulente dovrà proporre condizioni migliorative anche in termini di costi e commissioni (sennò il cliente potrebbe non seguirlo, mica è fesso).

Andiamo al secondo fattoide: “…i consulenti finanziari sono i venditori “porta a porta” di prodotti finanziari, liberi professionisti (…) che possono però collocare solo i prodotti della banca a cui sono legati da un vincolo monomandatario. Il promotore finanziario non può dunque vendere i prodotti di un altro istituito…”. Questa affermazione, se andava bene venti anni fa, oggi suscita solo ilarità. Imperatore, infatti, dovrebbe sapere bene che tutte le banche reti – proprio tutte, nessuna esclusa – lavorano con un modello di business definito “ad architettura aperta”, e cioè caratterizzato dalla distribuzione alla clientela di prodotti di case terze, non aventi alcun legame con la società mandante, e dalla fortissima limitazione – persino inesistenza – dei c.d. prodotti di casa. Ed è proprio tale architettura aperta che consente al consulente,  in occasione del passaggio ad altra banca, di effettuare il trasferimento del portafoglio senza neanche toccare i singoli investimenti dei clienti, con una semplice procedura di “cambio gestore” che evita il disinvestimento ed il successivo reinvestimento.

Tralasciando altri fattoidi “secondari” che comunque abbiamo annotato, sui primi due Vincenzo Imperatore costruisce un articolo che, per qualità ed approfondimento, solo il Fatto Quotidiano avrebbe potuto pubblicare.

Ma chi è Vincenzo Imperatore?

Secondo le informazioni scritte da lui stesso su Internet, “…ho  vissuto 22 anni come manager di un primario istituto di credito del nostro paese (…). Nel 2012 ho scelto la strada della libera professione e oggi sono titolare di Imperatore Consulting (….). (Nei suoi libri) ..per la prima volta un ex manager bancario offre la sua testimonianza per svelare i segreti, le strategie e gli scandali avvenuti nelle “segrete stanze” delle banche che hanno distrutto il risparmio degli italiani e frenato lo sviluppo economico…”.

Pertanto, dopo aver partecipato in prima persona al grande banchetto degli utili bancari del periodo storico che termina nel 2008, Imperatore improvvisamente ha una crisi di coscienza dal sapore mistico, “si pente” e poi si scaglia contro l’intero sistema, ergendosi a paladino della italica clientela. Tutto questo, però, dopo aver incassato la liquidazione da ex manager (che immaginiamo sostanziosa) dalla banca per cui lavorava.

In considerazione del profondo pentimento che lo ha portato ad uscire, in un impeto dell’anima, da quell’ambiente “immondo” che oggi attacca a tutto spiano, ci si sarebbe aspettati che vi rinunciasse, alla liquidazione, e che magari restituisse anche i ricchi premi di produzione ed i benefits da manager acquisiti nei 22 anni in cui era stato “traviato” dal “demonio bancario”. Ma come si fa a dimenticare il primo amore? Egli è stato (recensione di Amazon) “… per vent’anni nelle direzioni operative di alcuni tra i più blasonati istituti di credito italiani. Prima e dopo la crisi economica. La sua testimonianza svela i segreti, le strategie e i maneggi delle banche a danno del correntista. I costi eccessivi caricati sui conti (…). La moltiplicazione delle commissioni. Il ricatto psicologico dietro le richieste di rientro (…). Le procedure di calmierazione reclami per i clienti che si accorgono di movimenti strani sul conto e minacciano di chiuderlo (“Noi lo chiamavamo sistema 72H”, ricorda Imperatore). Le tecniche per piazzare un diamante, una polizza assicurativa o un derivato (“Ci garantivano una redditività enorme”)…”.

Quindi Imperatore aveva, per sua stessa ammissione, le mani in pasta, per così dire; salvo poi “pentirsi”. Ma 22 anni di partecipazione attiva – in qualità di manager/testimone che “sa tutto ed ha le prove”  – ai maneggi delle banche ai danni dei correntisti, il dottor Imperatore come intende espiarli? Forse rifacendosi una verginità al Fatto Quotidiano dopo aver cambiato la casacca da dirigente di banca con quella di consulente/giornalista?

Il sogno dei “giornalisti-squalo” (e probabilmente del Fatto Quotidiano), stile Beppe Scienza e Vincenzo Imperatore, sembra essere unicamente quello di vedere scomparire il sistema delle banche-reti dal mercato. E questo ci fa legittimamente sospettare che dietro i loro attacchi ci sia un disegno preciso, di cui Scienza e Imperatore sembrano essere soltanto compiacenti esecutori.

Fortunatamente, avere il titolo di professore o di consulente di direzione non fa di loro dei bravi giornalisti, né li rende credibili; così come non è sufficiente, per il Fatto Quotidiano, rinunciare al finanziamento pubblico all’Editoria per essere un buon giornale, distante da approcci ideologici e da banalissimi interessi di parte.

Coronavirus finanziario, risparmiatori vittime di un gioco predatorio. Serve una “mordacchia” per la speculazione

In questo scenario dalle tinte catastrofiche, la psicologia comportamentale  deve  riuscire ad affrontare in modo più convincente il tema della diffusione delle informazioni e delle opinioni all’interno del mondo finanziario, ingabbiando così, come in una metaforica  “mordacchia”, gli intenti speculativi di borsa.

Articolo di Manlio Marucci (*)

Stiamo assistendo in questa fase della nostra vita ad un evento storico che sta sconvolgendo le nostre abitudini e lo stile di comportamento  ricorrente a cui eravamo abituati nell’ambito della regolazione dei rapporti istituzionali, sociali, umani, produttivi, finanziari, di relazione  con il mondo dei media e dei social. Il vissuto umano legato a dei valori culturali ed ideali interiorizzati dagli schemi tradizionali del mondo occidentale ha iniziato ad incrinarsi con gli avvenimenti recenti determinati da situazioni “spurie” – forse naturali – del fenomeno “coronavirus”,  mettendo in evidenza la fragilità della condizione umana e della sua debolezza psicologica. E’  entrato così in “profonda crisi” il nostro modo di vivere e di pensare sul nostro futuro.

Relegati in quarantena forzata, i nostri giorni sembrano adombrare il tramonto di tutta una fase storica, coniata dal mito dell’efficientismo, dell’onnipotenza e quindi dell’uso indiscriminato della scienza e se vogliamo della finanza intesa come strumento di utilità sociale.  In realtà, se osserviamo questo fenomeno di paura associato a quello che sta avvenendo sui mercati finanziari notiamo come vi sia uno stretto legame, e cioè una “correlazione significativa”, quasi “funzionale” tra il corpus della paura dettato dal contagio del nuovo virus (può toccare anche a me)  con quanto di negativo sta avvenendo in borsa.

In tale scenario, infatti, assistiamo insofferenti ad una spietata speculazione da parte di traders senza scrupoli che proprio in funzione della instabilità e volatilità dei mercati intervengono pesantemente creando panico e incertezza ai poveri risparmiatori, vittime sacrificali di tale sistema. Essi adottano, come astuti avvoltoi, la vendita allo scoperto (o short selling), che consente di vendere un bene che non si possiede realmente, nella speranza che il prezzo scenda, così da riacquistarlo in futuro a un prezzo più basso e ottenere così “sostanziosi” profitti. In questa logica le istituzioni di controllo dei mercati borsistici a volte intervengono in ritardo – o addirittura non intervengono come nel caso della UE – amplificando le perdite e sviluppando un clima di incertezza e di paura.  I ribassi registrati dalle Borse nelle ultime settimane, pertanto, dimostrano che si è sotto il dominio incontrastato di questi speculatori che operano a leva. Ad esempio, il re degli hedge fund, Ray Dalio, con la sua Bridgewater  Associates sta scommettendo contro le Borse europee con una forza d’urto pari a 10 miliardi di dollari.

In un tale meccanismo entrano in gioco fattori che non hanno nulla a che fare con l’economia reale, ma si legano a impressioni, sensazioni, paure ed ipotesi catastrofiche, che annullano qualunque traccia di ottimismo. Su tutto, emerge e domina la paura, che è un meccanismo di difesa inconscio utile a proteggersi da sensazioni dolorose e spiacevoli che si reputano imminenti. Una sorta di premonizione, quindi, che ci mette in uno stato di allerta per evitare ulteriori danni e disastri.

LEGGI ANCHE: Covid-19, adesso è recessione tecnica. Dopo le rapide mosse della FED la BCE resta a guardare. Per quanto ancora?

I molteplici cambiamenti intervenuti di recente ci hanno ricondotto bruscamente ad interpretare la realtà in modo diverso dagli  standard di vita corrente, e quindi ci hanno portato a riconsiderare la nostra vita in una società – ormai integrata ed interconnessa a livello globale – a cui ridare pienamente valore ai beni primari, quali la salute e il denaro, quest’ultimo come elemento e fattore economico e di sicurezza. Questi temi di psicologica sociale ci inducono così  a ripensare il paradigma dell’Homo Economicus, che basa le sue scelte sull’ipotesi di preferenze di stabilità, razionalità perfetta ed equilibrio in senso stretto.

Il campo di ricerca ormai consolidato dalla vasta letteratura delle teorie economiche ci ha fornito sufficienti prove dimostrando che il comportamento umano dipende in modo prevalente dai fattori  psico-sociali, dai fattori istituzionali, culturali e  biologici; e così, capire l’attuale situazione di “stress”  con la lente degli strumenti forniti della scienza psicologica e dell’indagine sociologica, ci aiuta ad inquadrare positivamente il problema.

Nel caso del Coronavirus, gli studi di psicologia sperimentale ci aiutano a capire come le esperienze acquisite dagli individui siano influenzate dal contesto generale di paura generato dal coronavirus e dal linguaggio utilizzato dai media per rappresentarlo, e che questa “cornice” crea confusione ed informazioni errate e/o incomplete che hanno rimesso in discussione un principio fondamentale della nostra vita qual è “la sicurezza”.  Si verifica così il framing effect, ossia quel fenomeno in base al quale gli individui decidono in modo diverso a seconda della “cornice” di informazioni percepita e  assumono atteggiamenti non idonei al tipo di scelta da fare.  Con la diffusione del Covid-19, la probabilità che ognuno di noi entri in contatto con un pericolo potenzialmente gravissimo per la salute produce meccanismi di difesa inconsci difficilmente controllabili razionalmente, poiché spesso si traducono in comportamenti che sfociano nell’irrazionalità.

Esempio di “mordacchia”, strumento punitivo usato nell’antichità per ridurre al silenzio il condannato

In conclusione, si può affermare come il contributo dato dalla  psicologia comportamentale sui mercati finanziari sembra aver raggiunto oggi una maturità sufficiente per poter affiancare l’economia reale nel tentare di raggiungere una migliore comprensione delle dinamiche dei comportamento degli attori che operano nel complesso e vasto mondo finanziario, aiutati anche dalla tecnologia avanzata, dell’informatica applicata e dell’intelligenza artificiale. In questo quadro di problemi della società moderna, la psicologia sperimentale (così come le altre scienze umane) deve riuscire ad affrontare in modo più convincente il tema della diffusione delle informazioni e delle opinioni all’interno del mondo finanziario, ingabbiando  come in una metaforica “mordacchia” le speculazioni di borsa.

Si tratta di un tema di primaria importanza, dal momento che frequentemente i mercati finanziari danno l’impressione di essere guidati da un comportamento di tipo collettivo. Anche le componenti di tipo affettivo ed emotivo dovranno esser prese in considerazione maggiormente nel prossimo futuro. Si tratta di spiegare, in ultima analisi, il modo in cui le persone interpretano le dinamiche di tipo finanziario, favorendo un processo di formazione/informazione su vasta scala a cui le istituzioni devono impegnarsi per  liberare i risparmiatori dall’ignoranza finanziaria ed abbattere così la speculazione di borsa selvaggia a cui stiamo assistendo impotenti. Su questo versante, le Autority del mercato italiane, europee ed internazionali dovranno fare molto, rivedendo profondamente i meccanismi di controllo e di regolamentazione che le stesse, nonostante le evidenze, continuano a ritenere efficaci.

Forse è il caso di ricordare loro la favola di Esopo: HIC RHODUS, HIC SALTA !  (trad. non letterale “dimostraci le tue affermazioni, qui e  adesso!”)

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(*) Nella foto: Manlio Marucci, presidente Federpromm (Uiltucs)

 

 

 

L’economia mondiale cambia troppo velocemente. Ci attende un futuro alla “Blade Runner”?

Come nel celebre film di Ridley Scott, l’economia iper-tecnologica e i profondi cambiamenti della geografia umana accelerano la velocità di sviluppo delle innovazioni e aumentano il rischio di effetti collaterali per la qualità di vita.

Il mondo sta cambiando più velocemente che mai. Con miliardi di persone iper-connesse tra loro in una rete globale senza precedenti nella storia dell’Umanità, la Rivoluzione Digitale consente una diffusione quasi istantanea e senza attriti di nuove idee e innovazioni.

La Rete combina questa estrema connessione con i dati demografici in rapido cambiamento, spostando valori e atteggiamenti, creando crescente incertezza politica e, contemporaneamente, progressi esponenziali nella tecnologia.

Solo un cieco potrebbe non vedere i cambiamenti in corso, ed è chiaro a tutti che il prossimo decennio si appresta a diventare quello che segnerà una trasformazione storica nella Società Mondiale.

Allora, come possiamo impostare le vele della nostra nave per sfruttare le opportunità offerte da questo mare di cambiamenti?

Non senza difficoltà. La più evidente è quella di non essere in grado di interpretare le enormi quantità di dati disponibili sui cambiamenti del mondo. Per questo motivo, sta aumentando esponenzialmente la diffusione di video, capaci come sono di utilizzare la narrazione visiva per rendere le informazioni più accessibili e veloci.

I temi principali su cui il cambiamento si distribuisce vanno dallo spostamento della geografia umana all’evoluzione infinita del denaro; in mezzo, una immensa area di contenuti e informazioni alle quali è quasi impossibile stare dietro. Se proprio volessimo fare esercizio di sintesi, potremmo elencare alcune direttrici principali, ad ognuna delle quali sono collegati diversi sotto-gruppi di informazioni.

L’invasione tecnologica – Per la maggior parte della storia economica, le aziende leader a livello mondiale si sono sempre focalizzate sulle strategie di sviluppo industriale. Pionieri come Henry Ford e Thomas Edison hanno innovato nel regno fisico escogitando nuovi modi per riorganizzare la produzione ed il godimento di beni e servizi (rispettivamente la catena di montaggio per le auto e la lampadina a incandescenza per l’illuminazione). Di conseguenza, le aziende hanno investito enormi quantità di capitale per costruire fabbriche fisiche, pagare migliaia di lavoratori e costruire queste “cose”. Anche la maggior parte delle grandi società sono state costruite in questo modo: IBM, General Electric, Walmart e Ford sono solo alcuni esempi. Ma la realtà aziendale di oggi è molto diversa. Viviamo in un mondo di byte, e per la prima volta la tecnologia e il commercio si sono scontrati in un modo che rende i dati molto più preziosi degli oggetti fisici e tangibili. Ne è testimonianza il successo di aziende come Apple, Amazon e Microsoft, le quali hanno soppiantato in valore le tradizionali blue chips che costruiscono cose fisiche. Infatti, l’invasione tecnologica sta sfruttando la connettività, gli effetti di rete e l’intelligenza artificiale per creare piattaforme globali con cui è quasi impossibile competere. L’invasione tecnologica, per esempio, ha già preso il controllo della vendita al dettaglio (Amazon) e della pubblicità (Google e Facebook), e presto primeggeranno anche in altri settori come la Sanità, la Finanza e l’istruzione.

L’evoluzione del denaro – Nel mondo moderno, la definizione di denaro è più sfocata che mai. Le banche centrali, a seguito della grande crisi finanziaria del 2008, hanno optato per creare miliardi di dollari di valuta dal nulla, e oggi si fa strada la tecnologia blockchain, capace di creare le c.d. criptovalute. Indipendentemente da ciò che è denaro e cosa non lo è, le persone ne prendono in prestito quantità record: il mondo ha accumulato oggi 247 trilioni di USD di debiti, di cui 63 trilioni presi in prestito dai governi centrali:

La distribuzione della ricchezza – il panorama della ricchezza sta cambiando. Amazon e Apple valgono oltre 1 trilione di dollari, Jeff Bezos ha una fortuna di oltre 100 miliardi di dollari e l’attuale mercato al rialzo è il più lungo della storia moderna. Questa crescita continuerà? E se sì, da dove verrà?

Promesse orientali – L’ascesa economica della Cina è stata una storia avvincente per decenni, ma fino ad oggi siamo stati in grado di vedere solo un’anteprima di ciò che la superpotenza orientale sarà in grado di realizzare nei prossimi anni su una scala sconcertante per molti. Infatti, la Cina ha oltre 100 città con oltre 1.000.000 di abitanti. Queste città, molte delle quali sconosciute ai più, hanno ciascuna economie impressionanti costruite su fabbriche, produzione di risorse naturali o economia dell’informazione. Ad esempio, il delta del fiume Yangtze – una singola regione che contiene Shanghai, Suzhou, Hangzhou, Wuxi, Nantong, Ningbo, Nanchino e Changzhou – ha un PIL pari a 2,6 trilioni di USD, che è più dell’Italia.

Accelerazione del progresso tecnologico – Parlando di progresso tecnologico, il tasso di cambiamento sta diventando sempre più veloce. Ogni anno porta in grembo sempre più progressi tecnologici rispetto a quello precedente, confermando la validità di teorie come la legge dell’accelerazione dei rendimenti ipotizzata da Ray Kurzweil già decenni fa.

Non solo la velocità del cambiamento sta diventando più veloce, ma per vari motivi i mercati sono in grado di adottare più rapidamente le nuove tecnologie. Infatti, i nuovi prodotti possono raggiungere milioni di utenti in pochi mesi, come è successo con il gioco Pokémon Go, che nel 2017 ha accumulato 50 milioni di utenti in soli 19 giorni. Per fare un paragone, le automobili ci misero 62 anni a raggiungere quella cifra, il telefono 50 anni e le carte di credito 28 anni.

La rivoluzione verde – Non è un segreto che la nostra civiltà sia nel mezzo di uno spostamento sistemico verso fonti di energia più sostenibili. Studi autorevoli dimostrano che, negli ultimi due secoli e mezzo, l’energia che utilizziamo per alimentare lo sviluppo non è stata permanente o statica nel corso del tempo. Pertanto, con la velocità con cui la tecnologia oggi si muove, ci si deve aspettare che le nostre infrastrutture energetiche si evolvano a un ritmo ancora più intenso di quanto abbiamo sperimentato prima.

Geografia umana mutevole – I dati demografici globali cambiano sempre, ma l’ondata di marea della popolazione nei prossimi decenni ridisegnerà completamente l’economia globale. Nei paesi occidentali e in Cina, le popolazioni si stabilizzeranno a causa dei tassi di fertilità e della composizione demografica. Nel frattempo, nel continente africano e in tutto il resto dell’Asia, le popolazioni in forte espansione, combinate con una rapida urbanizzazione, si tradurranno nella crescita di megalopoli che potranno contenere fino a 50 milioni di persone. Entro la fine del 21° secolo, l’Africa da sola potrebbe contenere almeno 13 megalopoli più grandi di New York:

Le relazioni commerciali internazionali – Basandosi sul consenso degli economisti sul libero scambio, i paesi di tutto il mondo hanno costantemente lavorato per rimuovere le barriere commerciali fin dal secondo Dopoguerra. Oggi, però, sembriamo intrappolati in un paradosso commerciale in cui i politici si dichiarano favorevoli al libero scambio, ma spesso agiscono nella direzione opposta. La dimostrazione di ciò è data dalla guerra commerciale tra USA e Cina, o dai continui stop ai nuovi trattati commerciali internazionali, bloccati (tra i molti motivi) dalle nuove tendenze protezionistiche degli stati.

La conclusione di tutta questa analisi è logica: poiché le nuove tecnologie vengono create a un ritmo sempre più rapido, e vengono adottate a velocità record dai mercati, è corretto affermare che il futuro potrebbe arrivare a un ritmo vertiginoso, con tutto il suo portato di possibili controindicazioni e contraddizioni sociali: sovrappopolamento di alcune aree geografiche continentali e natalità negativa di altre, conseguenti migrazioni di massa (quelle di oggi nell’area del Mediterraneo sono solo un assaggio di ciò che succederà nei prossimi 10 anni…), inquinamento dell’aria che respiriamo, scarsità di cibo e continua ricerca di metodi di produzione aumentata delle colture di base, estremo divario nella distribuzione della ricchezza mondiale, ed altri “effetti collaterali”, che fanno sembrare il futuro più prossimo del tutto simile a quello vagheggiato nel visionario (a quei tempi) mondo del film “Blade Runner”.

Come affrontare questo futuro così incerto e quasi scontato, dipende dalla capacità dell’attuale élite economica, ancora troppo affascinata dalle ipotesi di crescita senza conseguenze, di mettere da parte i piani di sviluppo tradizionali, aggiornandoli con la semplicità di un ragioniere: minori risorse nei settori che creano i problemi, e maggiori in quelli che li risolvono, rendendo gradualmente obsoleti i primi.

Tutto questo, evitando di pensare ai replicanti e alle macchine volanti.

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