Marzo 29, 2024
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L’Italia, l’Europa e il peccato originale

Molti si chiedono cosa potrà succedere in autunno al potere d’acquisto degli italiani, ma molti dimenticano che la situazione attuale è il risultato di un “suicidio internazionale”  istigato da chi ci governava negli anni ’90.

Di Alessio Cardinale

Cosa potrebbe succedere in autunno ai prezzi dell’energia? I russi taglieranno la fornitura di gas e non potremo più riscaldare per bene le nostre case? Subiremo un razionamento? A che livello sarà l’inflazione? Queste sono le domande più frequenti che oggi vengono indotte dai media italiani quotidianamente, quasi a prepararci a sacrifici simili a quelli raccontati dai nostri genitori quando molti di noi erano bambini e che nessuno di noi aveva mai pensato di dover fare. Contestualmente, gli amanti della teoria del complotto potrebbero pensare che una tale concentrazione dei mezzi di informazione su scenari così funesti sia un tantino allarmistica, e serva in realtà per “anestetizzare” il ricordo dei guasti che gli italiani stanno vivendo da circa venti anni, da quando, cioè, la Moneta Unica ha preso ufficialmente il sopravvento sulla Lira, e il regolamento della Bce ha relegato la Banca D’Italia a naturale gregario di un board a guida tedesca.

Oggi esistono sostanzialmente tre scuole di pensiero riguardo l’Unione Europea: a) i perennemente soddisfatti di starvi dentro, che prima erano addirittura entusiasti e oggi approvano per principio qualunque decisione dei massimi organi europei, anche quelle più penalizzanti per l’Italia; b) gli scontenti, che prima erano molto contenti, i quali si sentono traditi dall’Unione Europea dove vorrebbero continuare a stare, ma non più a queste condizioni; c) gli incazzati neri, che prima erano persino felici di entrare in Europa e che da tempo si sentono vittime di un inganno della banda Prodi & Co. Ad alimentare queste tre principali scuole di pensiero, una pletora di correnti minoritarie dove sentimenti negativi e finalità politiche si mischiano tra posizioni estreme o del tutto agnostiche.

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Tutti costoro, tuttavia, hanno smesso di farsi la domanda fondamentale da cui dipende il “peccato originale” dell’ingresso in Europa: “a cosa serve l’Unione Europea?”.  E’ una domanda semplice, ma se provate a darvi oggi una risposta tecnicamente lucida – al bando i sentimenti per una decina di minuti – non lo troverete affatto facile. Personalmente, ho condotto un breve sondaggio tra alcune delle mie decine di conoscenze qualificate e meno qualificate, sottoponendo una “batteria” di possibili risposte e chiedendo di sceglierne al massimo tre. Il terzetto che ha avuto il maggior numero di preferenze è stato quello formato da “a essere tutti più ricchi”, “ad avere un futuro migliore” e “a dare opportunità lavorative ai nostri figli”. In sintesi, l’Europa servirebbe essenzialmente a migliorare la propria posizione in termini di ricchezza/capitale e di opportunità/lavoro. Su tutte le risposte, aleggia il fantasma della povertà, che determina a sua volta il desiderio di migliorare.

Povertà, capitale e lavoro altro non sono che i principali elementi di base di qualunque modello macroeconomico. Quello dell’Unione Europea è il modello liberista/capitalista: uguaglianza di fronte alla legge e pari opportunità dell’individuo in tutti gli ambiti della Società, riconoscimento del valore della proprietà privata, della libertà d’impresa e delle diversità economiche nella popolazione. Questo modello, a ben vedere, non prevede l’assenza di povertà, ma fa sì che chi è meno abbiente possa “scalare posizioni” e raggiungere i livelli sociali superiori, aumentando il proprio benessere e, sopra ogni cosa, auto-realizzandosi. Questo accade perché il modello liberista/capitalista si basa sulla differente condizione economica della società civile, facendone un punto di forza e centro vitale delle aspirazioni individuali. Ed è su questo concetto di diversità economica come occasione di crescita che si regge anche l’Unione Europea, al cui interno coesistono paesi più ricchi e paesi più poveri, ognuno dei quali rimane “diverso”, ma condivide una moneta, rinunciando per questo alla propria sovranità monetaria.

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Dall’Unione Europea, pertanto, ci si attenderebbe che le fasce meno abbienti diventino “meno meno abbienti”, che le fasce medie possano aspirare a diventare benestanti e così via, fino a scalare quante più posizioni possibili – anche dall’ultima alla prima – secondo il criterio meritocratico. E se da questa successione di pari opportunità deve derivare la cessione di sovranità sulla politica monetaria, ben venga, ma il meccanismo descritto non può e non deve prevedere il condizionamento della politica interna dei singoli stati al di fuori di ciò che è previsto dai Regolamenti Europei, peraltro senza dare nulla in cambio in termini di benessere generale e sicurezza sociale. Al contrario, l’Italia fin dal suo ingresso nell’UE ha subito una gravissima ingerenza dell’Europa nelle politiche interne e, in venti anni, l’economia del nostro Paese ha fatto talmente tanti passi indietro da fare rimpiangere a molti la Lira e i bei tempi andati.

Pertanto, ci si chiede per quale motivo la speculazione sui nostri titoli di stato continui a ripresentarsi periodicamente, visto che l’EU è sorta proprio per rafforzare la moneta comune ed evitare gli assalti della speculazione. Se l’Unione Europea è nata per difendere, collateralmente, le singole economie degli stati aderenti, come è possibile che dopo solo venti anni si sia già arrivati ad una “questione meridionale europea”, talmente conclamata da diventare un caso di scuola studiato dagli economisti nelle più importanti università americane? Il problema risiede nel “peccato originale”, commesso nel periodo antecedente alla adesione ufficiale dell’Italia alla Moneta Unica, durante il quale chi ci governava ha diffuso consapevolmente una propaganda ingannevole sui benefici derivanti dall’ingresso nell’Euro.

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E così, sulla scia di questo peccato originale, si è arrivati ai giorni nostri e allo scudo anti-spread, che si è rivelato come l’ennesima prova dell’uso politico della Moneta Unica da parte dei Paesi del Nord Europa, pur non essendo l’UE una unione politica e fiscale. Per averne la dimostrazione, basta leggere le condizioni più preoccupanti imposte per l’entrata in funzione dello Scudo: 1) la decisione su quali titoli acquistare, e di quale stato emittente, sarà presa discrezionalmente dal Consiglio Direttivo Europeo in base ad una valutazione “accurata e severa”; 2) il Paese destinatario non deve trovarsi in condizione di elevato disavanzo e non essere sottoposto a procedura di infrazione per eccessivi squilibri macroeconomici; 3) il suo debito pubblico deve essere sostenibile, e la valutazione di tale sostenibilità sarà a cura della Bce, di concerto con la Commissione europea, il MES (Meccanismo Europeo di Stabilità) e il FMI (Fondo Monetario Internazionale); 4) La Bce deve vedere segnali di panico sui mercati obbligazionari per attivare il meccanismo anti-frammentazione.

Il punto n. 1 sancisce il principio della indeterminatezza dell’intervento, che viene così lasciato alla discrezionalità dei Paesi frugali, e cioè quelli che non perdono mai l’occasione (neanche in pandemia) di effettuare “valutazioni accurate e severe” su tutto ciò che riguarda il Sud dell’Europa, salvo glissare sul proprio livello effettivo di tassazione delle imprese che li pone in regime di concorrenza sleale verso gli altri Paesi UE. Il punto n. 2 è talmente rischioso per l’Italia – per via dei suoi “regolari” squilibri economici – da risultare persino minaccioso. Questa sensazione aumenta leggendo il punto n. 3, che traccia in modo lucido lo scenario da “sindrome greca” in cui potrebbe trovarsi l’Italia di fronte allo schieramento della triade BCE-MES-FMI. Relativamente al punto n. 4, infine, il governatore di Banca d’Italia Ignazio Visco ha chiarito magistralmente come e quando lo Scudo potrebbe essere chiamato in causa: “se domani cominciamo a vedere 250, 255, 260 e così via, e cioè qualcosa che indica che c’è panico nel mercato, noi agiamo e uccidiamo il panico sul mercato“.

Nessuna attività di prevenzione, quindi, ma solo un intervento a danni già iniziati, proprio quello che la politica monetaria non deve mai fare. Qualunque banca centrale, infatti, detiene l’onere di agire in anticipo, sulla base degli indicatori economici, in modo da scongiurare gli effetti negativi di una certa congiuntura. Arrivare quando gli eventi che si dovrebbero scongiurare hanno già iniziato a manifestarsi è un contegno tipico della politica, che agisce soltanto di fronte a fatti che, per la loro gravità, richiedono il suo intervento quando sono già accaduti.

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Pertanto, il c.d. scudo anti-spread è una mossa di natura politica, mascherata da strumento tecnico-economico. E’ una operazione di facciata, che rappresenta l’abdicazione a fini politici della Bce dai propri doveri di “intervento preventivo” e che dovrebbe far preoccupare moltissimo gli italiani, i quali fino a Settembre saranno debitamente distratti dalla campagna elettorale più affrettata e breve della storia della Repubblica, il cui esito non è affatto scontato come qualcuno vorrebbe far credere.

No Eurobond, vincono i paesi dei criminali negati alla giustizia, dei free joint e delle signorine in vetrina

“…Nessuno di questi paesi vuole avere qualcosa in comune con l’Italia, che rimane per loro un semplice mercato di sbocco, possibilmente da depredare come già hanno fatto, nella Storia Moderna, Napoleone ed Hitler…”

Editoriale di Alessio Cardinale*

Nel negoziato sugli eurobond, anche questa volta ha prevalso la linea di quei paesi ostinatamente contrari all’adozione di uno strumento di vera solidarietà europea. Neanche le migliaia di morti di una pandemia globale hanno convinto la Merkel – con i conservatori tedeschi che la tengono nella sua poltrona – e la sua ancella Christine Lagarde a fare l’unica cosa che andava fatta: prendere per mano gli olandesi di Mark Rutte (quante metafore in un solo cognome…) e convincerli a non fare il bastian contrario.

Invece, il Cancelliere tedesco ha preferito seguire le indicazioni politiche di chi la tiene in sella da tre mandati, senza irritare gli amici olandesi che trova sempre alleati quando c’è da salvare le proprie banche in rovina.

Pertanto, le trattative sui c.d. Coronabond sono finite come la Merkel aveva già annunciato ieri sera, mettendo una pietra tombale sulla possibilità che potesse essere messo in campo qualcosa – sia anche un normalissimo titolo obbligazionario “europeo” – che ci accomunasse tutti in uno stesso popolo. Invece, il messaggio è chiaro: nessuno di questi paesi vuole avere qualcosa in comune con l’Italia, che è un semplice mercato di sbocco, possibilmente da depredare come già hanno fatto, nella Storia Moderna, Napoleone ed Hitler.

Ricapitolando, la questione si può sintetizzare in questi termini:

— Italia, Francia, Spagna, Portogallo e altri 5 paesi “pigs” d’Europa si oppongono al MES per via delle condizioni di austerity che esso impone e che già il popolo greco ha subito;

— Tedeschi, olandesi, austriaci e finlandesi, pur di non confondere il loro popolo con quello dei “pigs”, sono disponibili a consentire l’accesso ai fondi del MES senza imporre riforme inaccettabili ADESSO, rinviando quel momento a quando la pandemia sarà passata, e condizionando le somme al solo comparto sanitario, escludendo qualunque intervento sulle imprese del nostro Paese e condannando così l’Italia ad una “recessione durevole”;

– i “pigs” vogliono condizioni agevolate nella restituzione delle somme (tra 30 e 50 anni), mentre i paesi del Nord Europa vorrebbero scadenza-capestro a massimo 10 anni.

Del resto, Angela Merkel era stata chiara nel chiudere definitivamente il negoziato sugli eurobond: «Voi sapete che io non credo che si dovrebbe avere una garanzia comune dei debiti e perciò respingiamo gli eurobond», ha detto in conferenza stampa a Berlino, nonostante sia stata attaccata duramente – come mai era successo prima – da una parte della stampa tedesca che la sollecitava a restituire il favore ricevuto dalla Germania nel secondo Dopoguerra dagli altri stati.

La Merkel, peraltro, ha tentato di “mettere in mezzo” anche il Premier Giuseppe Conte, affibbiandogli pubblicamente il ruolo di “quasi-complice benevolo” della linea tedesca: «….Ho parlato a lungo con il premier italiano Giuseppe Conte anche pochi giorni fa. Siamo d’accordo che vi sia una urgente necessità di solidarietà ora che l’Europa vive le sue ore forse più difficili. La Germania è pronta a dare a dare solidarietà e si sente in dovere di dare solidarietà…».

Non sappiamo cosa ha pensato Conte, ma chiunque, al posto suo, si sarebbe infuriato per questa uscita “a gamba tesa”.

E mentre si cerca di capire che ruolo abbia avuto la Francia in questo episodio, l’Europa vagheggiata da Prodi (a proposito, dov’è finito…?) si è ridotta ad essere dominata da una nazione che protegge ancora oggi, insieme al suo surplus commerciale, anche gli assassini nazisti condannati in Italia, negandone ostinatamente l’estradizione, e da un’altra che ha fatto delle prostitute in vetrina e della libertà di drogarsi un vanto di libertà nazionale.

Siamo sotto ricatto – è vero – ed è difficile manovrare in queste condizioni. Ma deve esserci un modo per uscirne.

*Editore e direttore editoriale di Patrimoni&Finanza

Unione Europea, il conto alla rovescia per la sua eutanasia è appena cominciato

Il Coronavirus ha portato alla luce due opposti schieramenti: chi vuole ottenere liquidità tramite i coronabond, e chi la vuole concedere tramite il MES. La battaglia in corso, senza sorrisi e strette di mano, ha determinato una situazione di stallo da cui Ursula von der Leyen sta cercando di uscire con una offerta “fumosa” e complicatissima da 100 miliardi.

Articolo di Matteo Bernardi

Lo scoppio della pandemia, nella sua tragicità, poteva costituire l’occasione per dimostrare che l’Europa, oltre ad essere una unione monetaria, era capace di dare anche un segnale di solidarietà, tipica di una unione dei popoli, quale unica evoluzione possibile di questa fallimentare (almeno per l’Italia) esperienza comunitaria. Invece, di fronte ad una emergenza mai conosciuta prima di oggi, che ha catapultato tutti gli stati dell’Unione in uno scenario di vera e propria “guerra batteriologica”, quei governi europei (Germania, Olanda, Danimarca) a cui la Storia ha regalato nel secondo Dopoguerra sconti e benefici nel nome della Democrazia continuano ostinatamente ad essere ostili alla condivisione di vantaggi individuali acquisiti grazie all’Euro, e costringono il Consiglio Europeo – e tutti noi – ad attendere due lunghissime settimane di rinvio alla ricerca di una soluzione all’emergenza economica che, invece, presenta un conto salatissimo giorno dopo giorno.

Questa crisi, che secondo Mario Draghi potrebbe avere proporzioni “bibliche”, ha dimostrato che nemmeno in una situazione così difficile, sia dal punto di vista economico che sanitario, l’Europa riesce ad essere unita.

E così, l’austerità imposta da Germania e Francia ha generato rancori che adesso si mischiano ad un forte spirito nazionalista ed acquistano forza sempre maggiore, ma questa volta le conseguenze potrebbero patirle tutti, e non solo i paesi più indebitati. Con l’arrivo del Coronavirus, infatti, tutti gli stati si trovano a fronteggiare un fenomeno dagli effetti potenzialmente catastrofici, di cui certamente non si vedrà la fine neanche il giorno fissato per la prossima riunione del Consiglio Europeo.

Adesso l’ultima proposta veramente “unitaria” che rimane sul piatto è quella di reperire liquidità tramite i c.d. coronabond, da preferire nettamente al MES che, naturalmente, è ben visto da Christine Lagarde (la Grecia ricorda ancora) e dagli stati europei del nord per via delle forti restrizioni che da esso derivano per i paesi più poveri. I coronabond, invece, non sono nient’altro che titoli di debito emessi da un’istituzione europea con l’obiettivo di condividere il debito futuro legato al Coronavirus in maniera più equa, nulla rilevando l’indebitamento “vecchio” che rimarrebbe in capo ai singoli paesi. Eppure, Germania, Olanda e Danimarca (c’è sempre del marcio, lì), in virtù dei loro conti pubblici in ordine e del basso livello di indebitamento, non hanno intenzione di “mischiare” neanche il nuovo debito con i paesi del Sud Europa, e preferiscono costringerli ad accettare il ricatto del MES per ottenere liquidità immediata, anche se a carissimo prezzo da pagare nell’immediato futuro.

In sintesi, propongono cocciutamente un ulteriore indebitamento individuale, nonostante i coronabond andrebbero a creare un debito comune separato da quello pregresso di ogni nazione, evitando così una possibile confusione del debito. Pertanto, il Coronavirus ha portato alla luce due opposti schieramenti, ossia chi vuole ottenere liquidità tramite i coronabond, e chi la vuole concedere tramite il MES; entrambe le truppe in campo si stanno dando battaglia – questa volta senza sorrisi e strette di mano – e, non potendo dirsi addio consensualmente in tempi rapidi, si trovano adesso in una situazione di stallo, dalla quale Ursula von der Leyen tenta di uscire con un fumoso piano (pieno di incertezze e passaggi burocratici non idonei al momento) per sostenere la ripresa attraverso crediti per 100 miliardi di euro e la proposta di un fondo antidisoccupazione, denominato SURE, pari a 25 miliardi. Tutto questo per convincere l’Italia ad adottare il MES, che stritolerebbe il nostro Paese nella stessa morsa già usata per la Grecia.

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Da qui il rinvio, inspiegabile se non con l’esigenza di prendere tempo per un negoziato che ha come posta in campo la sopravvivenza dell’Unione Europea o, al più, di “questa” UE.

Ha sorpreso un po’ l’uscita di Mario Draghi, da molti indicato come presidente del consiglio del dopo-Conte. Tramite un’intervista sul Financial Times, l’ex presidente della BCE ha evidenziato che la criticità della situazione richiede velocità di decisione e d’intervento, cioè proprio quello che Germania & co. stanno cercando di osteggiare in tutti i modi. “Di fronte a circostanze impreviste”, ha dichiarato Draghi, “un cambiamento di mentalità è necessario in questa crisi, come lo sarebbe in tempi di guerra. Lo shock che stiamo affrontando non è ciclico. La perdita di reddito non è colpa di nessuno di coloro che ne soffrono. Il costo dell’esitazione può essere irreversibile”.

Il messaggio di Draghi ai leader europei è stato chiaro: salvare le aziende fornendole la liquidità necessaria senza preoccuparsi di creare debito. Una velocità d’esecuzione di cui i governi europei del Nord non sembrano ancora sentire la necessità, e probabilmente non la sentiranno mai.

Inutile riflettere sulla cultura e sul senso civico di questi popoli; hanno la loro impostazione di governo, e la perseguono a qualunque costo, soprattutto se il costo è sostenuto da altri. Pertanto, sembra che il conto alla rovescia sulla eutanasia dell’Unione Europea sia appena cominciato e, salvo improbabili cambi di rotta della Merkel (dominata politicamente dai conservatori tedeschi, i veri artefici del “prima la Germania”), continuerà nel dopo-pandemia e porterà ad una totale “disgregazione dei popoli”, e cioè all’esatto contrario di ciò che tutti avevano ingenuamente sperato, venti anni fa, con l’introduzione della moneta unica.

Il già diffuso sentimento anti-europeista, però, questa volta non sarà frutto della propaganda di qualche politico senza scrupoli, ma il naturale prodotto di chi, con l’Italia e con gli italiani, non vuole spartire niente.

Neanche le mascherine.

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