Settembre 19, 2025

L’insostenibile leggerezza di essere ANASF

Sterile, negli ultimi 15 anni, l’azione di tutela di ANASF. Eppure, forte dei suoi 12.000 iscritti, dovrebbe essere in grado di contrapporre alle controparti sociali una forza notevole su tutte le questioni più importanti.

Di Alessio Cardinale

Alla luce dei profondi cambiamenti imposti dalle due MiFID, ed in considerazione del significativo impatto economico che esse hanno avuto e avranno per i professionisti del risparmio, oggi sono in molti a chiedersi se l’azione di ANASF, nell’ultimo decennio, sia stata efficace oppure del tutto inconsistente.

Per dare una risposta, serve partire dalle basi.

L’associazione nazionale consulenti finanziari (unica associazione di categoria che conta su circa 12.000 consulenti iscritti, circa un terzo di quelli in attività), è stata fondata nel lontano 1977 da veri e propri pionieri della promozione, allora già auto-definiti “consulenti finanziari”, i quali avevano l’obiettivo di ottenere il riconoscimento e la tutela della professione mediante la creazione dell’albo (poi istituito con la legge n. 1/1991, che ne ha mutato la denominazione in “promotori”). Peraltro – non dobbiamo dimenticarlo – si arrivò alla creazione dell’Albo dopo una prima grande battaglia di ANASF sul riconoscimento del c.d. Management Fee, ossia di quella stabile struttura di remunerazione che ha portato l’intera categoria a prosperare fino al 2008, quando la prima MiFID generò (non senza il “contributo” delle mandanti) una prima sforbiciata alla ricca remunerazione dei promotori.

Alcune interessanti coincidenze suscitano curiosità. La prima è che oggi, dopo “soli” 27 anni dalla L. 1/91, si sia tornati all’antica definizione di “consulenti”. La seconda è che proprio il Management Fee, dopo 30 anni, venga messo sotto attacco dalla MiFID II, anche questa “calata dall’alto” (cioè, non generata da istanze dei consumatori) come la prima. Eppure, la nuova normativa ha richiesto anni di studio e step vari, che certamente avrebbero consentito ad ANASF di svolgere un incisivo ruolo di tutela dei propri iscritti che, invece, si è rivelato quasi inesistente.

Non sappiamo il perché di questo immobilismo: forse l’Associazione dei consulenti ritiene che chi guadagna bene (lavorando però anche 15 ore al giorno) non sia poi così meritevole di tutela collettiva (o “sindacale”) come un metalmeccanico o un quadro bancario?

La domande che precede, a questo punto, diventa fondamentale. Infatti, sulla carta, ANASF svolge una azione di rappresentanza degli interessi della categoria presso Governo, Parlamento e Istituzioni, e dialoga con la Consob su tutti gli aspetti di regolamentazione dell’attività dei consulenti finanziari, partecipando attivamente alla gestione dell’Organismo Unico dei consulenti (OCF). Quindi, per via della sua rappresentatività diffusa, dovrebbe essere in grado di contrapporre alle controparti sociali una forza notevole su tutte le questioni che interessano gli iscritti.

Tutto questo in teoria. Nella realtà, dalla fine degli anni ‘90 ad oggi tutti noi abbiamo assistito ad una serie di avvenimenti negativi per la categoria. Più precisamente:

  • taglio continuo (e di notevole entità) dei margini economici alle reti commerciali,
  • eliminazione (prima) e mancata riproposizione (poi, come vedremo nel seguito dell’articolo) della figura del praticante, indispensabile per assicurare il ricambio generazionale della rete,
  • mancata attivazione, presso il Parlamento, per la nascita di un ordine professionale riconosciuto (come quello di altre professioni, ben tutelate, che non necessitano di un diploma di laurea – vedi quello dei geometri),
  • mancanza di un contratto unico con garanzie collettive,
  • trasferimento massivo e non retribuito di mansioni amministrative (elaborazione contratti) dalla sede ai consulenti,
  • consulenza finanziaria come servizio non autonomo, ma da vendere in esclusiva di prodotto e, quindi, in regime di conflitto di interessi rispetto agli strumenti finanziari distribuiti.

Il succedersi di questi elementi sotto gli occhi passivi di ANASF, fa di questa un ente per nulla incline alla “lotta sindacale” e, pertanto, del tutto inconsistente dal lato della tutela dei diritti di quei consulenti che oggi vengono cinicamente ritenuti “scartabili” dal sistema delle banche-reti solo perché hanno un portafoglio medio-basso (inferiore a 10 milioni, ma l’asticella sta per essere alzata a 15).

Per meglio analizzare un ideale bilancio di lungo periodo dell’attività di ANASF, vediamo di ripercorrere alcune tappe importanti, andando a ritroso nel tempo di circa vent’anni. Lo facciamo con un articolo di Italia Oggi  (numero 213,   pag. 11  del 08/09/1998), dove leggiamo che “La Federpromm-Finass critica la scelta della Consob di far gestire l’albo dei promotori ad ABI, ASSORETI e ANASF. Si contesta in particolare la legittimità regolamentare e la fondatezza giuridica di questa scelta….L’albo dei promotori deve avere il suo ordine eletto dagli iscritti.…come avviene per tutti gli altri ordini professionali. La scelta della commissione di vigilanza, presa per giunta senza consultare la Federpromm-Finass, è preoccupante, perché la gestione dell’albo sarebbe affidata ai datori di lavoro, con il pericolo di ‘ingabbiare’ e ‘rendere docile’ la categoria”.
Quelli di Federpromm la sapevano lunga, a quanto pare, ma furono rapidamente zittiti dagli eventi: crescita vertiginosa del risparmio gestito, affermazione del ruolo del promotore finanziario, attrattività della professione verso la Società Civile, guadagni stabili e prosperità economica degli operatori.

La festa continuava ininterrotta fino al 2007-2008, ma cessava improvvisamente allorquando entrava in vigore la prima MiFID; questa – è bene precisarlo per tutti coloro che ancora oggi si interrogano sulla sua genesi – nacque non tanto per soddisfare le istanze della Domanda (e cioè degli utenti, del tutto disinteressati alla questione), ma per ragioni squisitamente politiche provenienti dal lato dell’Offerta (cioè, le banche) e dalla U.E.: bisognava creare un mercato europeo dei capitali integrato in grado di rivaleggiare con quello statunitense.

Peccato, però, che con la MiFID I si dava anche un taglio netto alla storia della promozione finanziaria in Italia, facendo dei promotori le “vittime economiche sacrificali” sull’altare della politica internazionale. Infatti, agli indubbi vantaggi costituiti dalla maggiore trasparenza per gli utenti e dai maggiori controlli degli organi preposti (che negli USA sono, invece, molto più blandi, ed in ciò l’U.E. a trazione tedesca vuole essere superiore), si contrapponeva un taglio dei ricavi per le aziende e per i promotori finanziari per via del divieto, soprattutto per gli strumenti di gestione patrimoniale in OICR, del raddoppio commissionale (commissioni interne dei fondi più commissioni trimestrali per remunerare la gestione del portafoglio).

Il problema è che, come in tutti gli eventi sistemici, a pagare sono sempre i “terminali” della catena produttiva.
Infatti, negli anni immediatamente successivi, il sistema delle banche-reti avviava la più grande operazione di razionalizzazione strutturale mai vista prima di allora in Italia, ed il peggioramento del conto economico delle banche veniva “scaricato” in massima parte sulla rete commerciale (i promotori), ai quali, via via che l’informatizzazione dei servizi di elaborazione dati prendeva piede grazie alla tecnologia, venivano trasferite anche tutte le mansioni amministrative di base connesse all’elaborazione dei dati, consentendo alle banche di non assumere più altro personale di sede, di riqualificare quello esistente e di consolidare così un miglioramento strutturale del proprio conto economico.

Il risultato? Oggi i promotori-consulenti guadagnano mediamente, rispetto al 31/12/2017 il 50% in meno (n.b.: in rapporto al valore di portafoglio di quell’epoca), mentre le banche-reti, anche grazie all’azzeramento dei tassi ed al boom del risparmio gestito, hanno aumentato sensibilmente gli utili aziendali già un anno dopo l’entrata in vigore della MiFID I, quando le masse erano quasi identiche a quelle pre-MiFID.

Certo, è anche vero che il portafoglio medio dei consulenti è aumentato, per cui il loro tenore di vita non è diminuito (o, nella media, è diminuito di poco); bisogna però considerare che oggi, con un portafoglio notevolmente superiore rispetto al 2008, il medesimo tenore di vita sarebbe superiore di almeno il 50%.

Prima di arrivare ai giorni nostri, un’ideale tappa intermedia nella sostanziale inattività categoriale di ANASF è rappresentata dall’It Forum di Rimini di Luglio 2013. In quel tempo, durante una tavola rotonda organizzata da BancaFinanza, si confrontavano Maurizio Bufi, presidente di ANASF; Massimo Doris (Banca Mediolanum); Armando Escalona (Finanza e Futuro); Stefano Grassi (Banca Generali); Mario Incrocci (Banca Mps) e, naturalmente, Marco Tofanelli (segretario generale ASSORETI).

Durante quel forum si parlò di tante cose belle e positive per la categoria. Tra queste, il mandato anche per le società di persone, argomento spinoso dal punto di vista regolamentare ma auspicato da tutti, relativamente al quale Bufi dichiarava «…Sono temi che fanno parte della nostra proposta al mercato sul contratto di categoria. Richiedono tempo per essere attuati e per questo vanno affrontati tempestivamente» (Il Giornale.it del 15.07.2013). Gli faceva eco Scalona, il quale affermava «…Dopo anni, finalmente si inizia a parlare seriamente di questo tema…..Perché il nostro albo è l’unico tra quelli esistenti a cui ci si può iscrivere solo come persona fisica? L’albo degli agenti assicurativi permette l’iscrizione anche alle persone giuridiche nelle forme di spa, srl, sas, e anche nel caso dell’OAM, ci si può iscrivere in entrambe le formei vantaggi del team sono innumerevoli sia per i professionisti sia per i clienti. All’interno dello studio associato si possono formare i nuovi promotori e dare una risposta corretta al nodo del ricambio generazionale…”.

Ne avete più sentito parlare?

Durante quello stesso forum si parlò anche di una proposta dell’ANASF, e cioè del contratto europeo dei promotori, il quale avrebbe apportato grandi vantaggi di categoria: semplificazione del sistema di remunerazione, valorizzazione del portafoglio, organizzazione in forma collettiva dell’attività, tirocinio e praticantato, solo per citare alcune delle qualità decantate da ANASF. “…Abbiamo lavorato due anni su questa proposta e riteniamo che sia arrivato il momento giusto di presentare al mercato il tema del rapporto contrattuale perché, alla luce della nostra evoluzione, non ha più senso essere agganciati agli agenti di commercio…”.

Così dicevano, ma la questione è stata “dimenticata”. Ed invece quella sarebbe stata l’occasione, per ANASF, di riagguantare un pò l’orgoglio perduto e battere i pugni sul tavolo di ASSORETI, la quale invece, sull’argomento, dichiarava “…se c’è un contratto di categoria da siglare ci deve essere una controparte pronta a siglarla…non possiamo essere noi, come associazione non abbiamo alcun mandato sulla contrattazione collettiva…”.

Pertanto, la proposta si è arenata, fino ad oggi (sono passati 6 anni, nel frattempo) su un fatto puramente tecnico (la presunta assenza di una controparte) usato strumentalmente un pò da tutti per lasciare il mondo così com’è. O meglio, così com’era, visto l’arrivo della MiFID II.

In buona sostanza, il destino della nostra professione, fino ad oggi, è stato ancorato stabilmente alla “contrattazione” tra un’associazione (ANASF), che non è un sindacato nazionale, ma un ente senza scopo di lucro, ed un’altra associazione (ASSORETI) che si dichiara (correttamente, dal punto di vista giuridico) incompetente a svolgere la contrattazione collettiva.

Ma allora, se non esiste una sola struttura di interesse pubblico (come potrebbe essere un ordine nazionale dei consulenti finanziari) in grado di tutelare davvero i consulenti finanziari per le questioni di interesse collettivo, dovrebbe continuare a farlo ANASF?

A 20 anni dal primo allarme lanciato da Federpromm, arriviamo alla kermesse Consulentia 2017, in occasione della quale arriva il grido d’allarme di Maurizio Bufi, presidente ANASF, il quale, dopo cinque anni passati infruttuosamente, preannunciava (dicembre 2017) ciò che tutti sapevano da tempo, e cioè che “…La Mifid 2 tra tante cose buone potrebbe portare un regalo sgradito: una sforbiciata alle remunerazioni dei consulenti finanziari. A questa decisione impopolare potrebbero essere indotte le reti a seguito delle spinte della seconda versione della direttiva europea verso una maggiore qualità del servizio, maggiore trasparenza dei costi e pressione competitiva in aumento…..Il rischio o la possibilità che ci sia un intervento sui margini (ndr da parte delle società mandanti) non è un’ipotesi remota ma verosimilmente è già una realtà….”.

Pertanto, con una insostenibile leggerezza, ANASF – che finora non ha assunto alcuna forte iniziativa di pubblica tutela riguardo ai colleghi che, per via di un portafoglio modesto, da un giorno all’altro vengono costretti a trovare una diversa collocazione lavorativa senza giusta causa – ci dice che saremo costretti a stringere di nuovo la cinghia; e senza protestare più di tanto, dal momento che lei stessa non lo fa.

Per il futuro dei consulenti finanziari, pertanto, nulla di buono. Parafrasando una celebre frase di A. Einstein, potremmo dire che non abbiamo idea di come sarà la terza MiFID, ma la quarta sarà in vigore solo per le banche.

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