Mentre la “deglobalizzazione finanziaria” è già in atto, il mercato dell’oro è in mano alla Cina
Le grandi case d’investimento sono il principale finanziatore della leva finanziaria del sistema USA. L’Oro è l’unica asset class che è sfuggita al controllo degli Stati Uniti e ora è nelle mani dei policy makers cinesi.
di Maurizio Novelli, gestore Lemanik Global strategy fund
Il risultato elettorale in Giappone ha visto la vittoria di un altro policy maker favorevole ad aumentare la spesa pubblica chiedendo però di mantenere i tassi d’interesse fermi dove sono (0,5%). E’ più o meno la stessa politica perseguita dall’amministrazione Trump, che spinge su politica fiscale espansiva con riduzione dei tassi d’interesse. Il CEO di Open AI, Sam Altman, incalzato da un giornalista economico sulla profittabilità prospettica degli ingenti investimenti per l’intelligenza artificiale ha così risposto: “il profitto non è attualmente nelle mie prime dieci priorità”.
Siamo quindi in procinto di entrare in un contesto finanziario dove alcuni policy makers chiedono sempre più capitali per finanziare l’espansione del debito, ma contemporaneamente, vorrebbero imporre ai finanziatori una remunerazione più bassa. Nel frattempo, assistiamo ad una crescente richiesta di capitali per finanziare innovazione tecnologica senza avere alcuna prospettiva sul ritorno del capitale investito. A questo punto l’unica redditività che puoi cercare di estrarre da un mondo che funziona in questo modo è quella prodotta dalle bolle speculative dove tutti cercano di partecipare al gioco. Il problema è che molti sono convinti che questo ovviamente non possa durare per molto, ma si crede che possa comunque funzionare per un pò, gonfiare ulteriormente le bolle speculative e poi finire in una crisi, dove tutti sono comunque convinti di poter uscire prima dell’evento.
E così, dopo 14 anni di tassi zero e QE, siamo entrati in una nuova fase di “repressione finanziaria“, che porterà le principali economie mondiali alla guerra per il controllo dei capitali per sostenere sistemi in crescente “distress”. Poiché nessuno, in un mercato globale, può imporre ai propri finanziatori di aumentare il finanziamento del debito a tassi di remunerazione definiti dal debitore stesso, si delinea all’orizzonte un potenziale conflitto sul controllo dei capitali necessari a finanziare queste politiche reflazionistiche senza fine che producono crescita (asfittica) finanziata da debito (esplosivo). Il rischio di una potenziale rottura del sistema capitalistico globale è sempre piu’ reale e il “Capitalismo di Stato” prenderà inevitabilmente il suo posto.

Si fa largo in questo modo l’idea di un sistema dove i governi obbligheranno in qualche modo a canalizzare i risparmi in modo dirigistico verso i titoli nazionali e i mercati nazionali con remunerazioni reali pari a zero. La prima fase di questo cambiamento è l’introduzione dei dazi, che mirano a far spostare la produzione manifatturiera da un paese ad un altro, la seconda fase è l’introduzione di disincentivi ad investire all’estero e riportare a casa il risparmio che finanzia la crescita e il debito di un competitor. Questo meccanismo porterà al collasso dell’attuale sistema monetario globale basato sul Dollaro e procurerà un rimpatrio dei capitali esportati per finanziare politiche fiscali locali costantemente espansive.
Il motivo per il quale l’Oro sale è anche questo. Le banche saranno obbligate a sottoscrivere titoli di stato (QE indiretto), i fondi pensione dovranno investire sempre più su asset domestici e i mutual funds subiranno pressioni politiche ad investire dove i governi vogliono che sia fatto. Questi meccanismi sono già in avviata discussione in UK e, di fatto, già attivi negli Stati Uniti, dove le grandi case d’investimento sono ora il principale finanziatore della leva finanziaria del sistema USA. Il problema è che gli Stati Uniti dipendono da risparmio estero raccolto dalle società di fondi americane e potrebbero essere esposti ad un deflusso di tale finanziamento. Per questo motivo l’amministrazione Trump ha a disposizione leggi che consentono il blocco dei capitali esteri in uscita per questioni di “sicurezza nazionale”.
In Cina il rimpatrio dei capitali è già avvenuto in concomitanza con la chiusura degli investimenti cinesi da parte di molti paesi occidentali, mentre i flussi di capitale verso la Cina si sono praticamente bloccati da almeno tre anni, quando l’amministrazione Biden ha minacciato di sanzioni chi investiva in Cina ed ha provocato un deflusso di capitali americani dal mercato di Hong Kong. Le grandi istituzioni giapponesi, che hanno riversato trilioni sui mercati internazionali negli anni dei tassi a zero in Giappone, stanno iniziando a valutare l’allocazione ad asset domestici, spinti da tassi d’interesse più alti e da pressioni politiche che non possono essere ignorate. La deglobalizzazione finanziaria è la conseguenza della deglobalizzazione industriale e sarà una caratteristica degli anni a venire.
Gli Stati Uniti sono certamente il paese messo peggio per fronteggiare un fenomeno di rimpatrio dei capitali, dato che il valore degli asset finanziari USA (ai massimi di sempre) è sostenuto prevalentemente dal flusso di risparmi esteri e non da risparmio americano. Nel contempo, i 13 trilioni di Dollari (sottostimati) di credito speculativo emessi durante le follie del QE hanno iniziato a venire a galla in alcuni bilanci bancari, scatenando il panic selling nel settore e gettando ombre di contagio come nel 2007 era avvenuto con Bear Stearn. Le società di Private Equity quotate sono mediamente giu’ del 15%-20% da inizio anno. Il Fondo BlackStone Tech & Private Equity Trust perde il 70% dai massimi del 2022, il fondo BlackStone Senior Loans perde circa l’ 11% dal picco del 2022, il BlackStone Secured Lending Fund è giu’ del 25% da Febbraio 25, il fondo Apollo Commercial Real Estate Finance perde il 50% dai picchi del 2020, il fondo BlackStone GSO Long Short Credit Income è -31% dai massimi del 2020 e KKR Real Estate Finance – 63% dal picco del 2022.
Nel frattempo, le banche USA continuano a fornire “life support” allo Shadow Banking System, con i prestiti che salgono a 1,2 trilioni di USD (+ 400bn solo nell’ultimo trimestre). Nulla è dato da sapere sul valore del collaterale messo a garanzia di tali prestiti, ma è lecito pensare che il credito erogato, in molti casi, ha come collaterale asset che hanno perso di valore negli ultimi 3/4 anni. Inoltre, è lecito farsi alcune domande in relazione alle perdite su crediti evidenziate dalle banche USA. Come mai, a fronte di tassi di insolvenza record al 13% sul Commercial Real Estate, i Non Perfoming Loans (NPL) su tale settore sono solo 1%? Le banche regionali hanno una esposizione al CRE pari al 260% del Tier 1, come mai l’indice del settore KBW bank index è sui massimi storici in questa situazione? Le delinquencies sul credito al consumo sono ai massimi dal 2010, come mai le banche non evidenziano perdite in questo segmento del credito?
Nulla sembra più credibile in un sistema che pubblica dati macro gonfiati e bilanci di dubbia credibilità, il tutto per continuare ad alimentare le bolle finanziarie che circolano pericolosamente sulle nostre teste e sperare che tutto si possa risolvere senza danni. L’unica soluzione per evitare che questa situazione possa risolversi con una crisi sistemica di proporzioni epiche è quella di perseguire supporto fiscale e la nazionalizzazione del sistema finanziario. Se qualcuno non si è ancora accorto, i tassi sul mercato dei Treasuries sono di fatto controllati dal Ministero del Tesoro (YCC). Qualsiasi notizia non sposta il livello dei tassi decennali dall’area 4,0% e l’obbiettivo politico è farli scendere almeno al 3%. Le banche devono continuare a pubblicare bilanci positivi e non aumentare gli accantonamenti su crediti per non far credere che ci possono essere problemi.
In questo contesto, il sistema è già di fatto nazionalizzato e i dati macro “politicizzati” aiutano a tenere la situazione sotto controllo, dato che parlare di rischi di recessione in una fase di totale “soppressione statistica del ciclo macroeconomico” non ha alcun senso. L’Oro è probabilmente l’unica asset class che è sfuggita al controllo e ora è nelle mani dei policy makers cinesi. Le ipotesi di rivalutazione delle riserve auree USA si sono dissolte e il Ministro del Tesoro Bessent ha dichiarato che gli Stati Uniti non vogliono rivalutarle. Molto strano per un paese che avrebbe la necessità di rivalutare un asset che potrebbe ridurre lo stock del debito pubblico netto (debito pubblico totale meno gli asset disponibili). La verità è che probabilmente gli Stati Uniti hanno già venduto le riserve auree anni fa e hanno sempre pensato di poterle riacquistare ad un prezzo più basso perché manipolavano il mercato dell’Oro. Il problema è che non hanno fatto i conti con la Cina, che ha accumulato Oro ed ora controlla il mercato fisico.
E’ estremamente probabile che le riserve auree accumulate recentemente dalle Banche Centrali avranno un ruolo nel riassetto del sistema monetario internazionale quando gli Stati Uniti non riusciranno più a reggere e a nascondere la crisi dello Shadow Banking, e saranno trascinati nella solita crisi finanziaria. Ma non sono solo i cinesi a comprare Oro, la BCE ha ora 500 miliardi di Euro di Oro nelle sue riserve valutarie. Nel momento in cui la FED confermerà l’apertura di una fase di discesa dei tassi e accanto a Powell verrà nominato un “Governatore ombra” che lo affiancherà fino alla fine del suo mandato, il Dollaro aprirà una ulteriore fase ribassista, con un target 1,40 contro Euro al massimo in 18 mesi.











