Aprile 19, 2024
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Consulenti finanziari, i gruppi bancari amano troppo il portafoglio medio. I giovani ancora esclusi

I clienti appartenenti alla Generazione Z bussano già adesso alla porta della Consulenza Finanziaria, ma ad accoglierli c’è un esercito di consulenti “anziani”, molti dei quali poco avvezzi all’uso degli strumenti tecnologici e, soprattutto, poco rappresentativi per dialogare efficacemente con clienti molto giovani, lontani anni-luce dal loro modo di pensare.

 Di Alessio Cardinale

Niente è meglio di una buona rassegna stampa per comprendere a fondo la direzione in cui un certo sistema sta andando, e soprattutto chi sono gli attori principali di quel sistema che determinano, per mezzo di scelte non troppo condivise, il destino di migliaia di persone.

Nel caso dei consulenti finanziari, il dibattito sul ricambio generazionale ha assunto una improvvisa accelerazione che, al netto delle dichiarazioni di intenti, non cambia affatto la direzione lungo la quale sia Anasf che Assoreti sembrano essere avviati senza alcuna soluzione di continuità.

“Almeno adesso se ne parla”, direbbe qualcuno. “Ora servono i fatti”, afferma qualcun altro. In mezzo, il vuoto pneumatico e tante belle parole che, al contrario, mantengono salda la rotta sul portafoglio medio quale unico parametro con cui misurare – e mercificare – il valore dei consulenti finanziari.

La rassegna stampa, dicevamo. Bellissime (e spietate) le dichiarazioni di Maurizio Bufi – ex presidente Anasf e oggi libero di parlare fuori dai denti – secondo il quale “…Sono passati dieci anni e oggi siamo in affanno nell’implementazione di quel processo di ricambio che dovrebbe essere alla base di un sano sviluppo della professione. È chiaro che si è trattato di una miopia degli intermediari e delle reti di vendita, che hanno, legittimamente, orientato la propria azione sulle masse in gestione, sul reclutamento dei bancari, sul conseguimento di ingenti utili, poi girati in gran parte agli azionisti di riferimento…”.

Al netto di queste meritorie dichiarazioni di Bufi, gli articoli che si sono succeduti nell’arco dell’ultima settimana dipingono, in relazione al passaggio generazionale, uno scenario da cui si evince la volontà “politica”, da parte delle grandi reti, di lasciare intatte le barriere all’entrata della professione di consulente finanziario per i giovanissimi ed i neolaureati più brillanti. E così, leggiamo del diffuso compiacimento per il tentativo di abbassare l’età media dei CF (oggi ben oltre i 50 anni) tramite l’ingresso di bancari appartenenti alla categoria dei millennials – gli attuali professionisti quarantenni – oppure, come accade nella “rete delle reti” Fideuram, per mezzo dell’inserimento dei figli dei consulenti “old”, che genera un passaggio generazionale interno molto redditizio in termini di continuità di portafoglio.

In mezzo, l’articolo di Francesco D’Arco, secondo il quale “….Quello che l’industria ora deve fare è passare dalle campagne marketing ai fatti (….). Il problema del passaggio generazionale all’interno dell’industria è dibattuto da anni, ma i fatti dimostrano che siamo ben lontani dall’averlo affrontato. Servono azioni concrete.…”. 

Pertanto, nonostante i titoli roboanti, nessuna azione concreta sull’ingresso nella professione dei giovanissimi – gli unici che garantirebbero continuità e prosperità alla categoria nel lungo periodo – né, soprattutto, dichiarazioni che superano lo status di belle parole ed anticipano un programma di investimenti sulla selezione e formazione di neolaureati da parte delle società mandanti iscritte ad Assoreti.

Il problema, in tutta evidenza, è quello di riuscire a distruggere una formula su cui si regge l’industria del risparmio ed il conto economico dei suoi addetti. Infatti, l’età media elevata dei consulenti ed il parametro quantitativo del portafoglio medio sono strettamente collegati tra loro in un binomio quasi inscindibile, ed il perseverare sul loro funzionamento determina l’altezza della barriera all’entrata per i giovani: più si alza l’asticella del portafoglio medio, meno giovani potranno avere la possibilità di fare ingresso nel mondo della Consulenza Finanziaria.

Se non ne siete convinti, provate a spiegare come un giovane neolaureato brillante e determinato possa raggiungere il portafoglio medio Italia di 15 milioni nel giro di due anni. E’ più probabile – e questo sia Assoreti che Anasf lo sanno – che di anni ce ne vogliano cinque, e ciò determina, da parte delle banche, un investimento che richiede il raggiungimento del break-even point in un arco temporale più ampio.

Eppure, gli utili per avviare un tale circolo virtuoso ci sono, ma essi, invece, vengono distribuiti agli azionisti di controllo (i gruppi bancari) anziché – anche o solo parzialmente – essere accantonati per un non più rinviabile programma di investimenti sulle nuove leve.

In parole povere, i grandi gruppi bancari che controllano le reti sono al momento restii a privarsi di parte degli utili conseguiti grazie al lavoro dei consulenti “anziani” e a destinarli alla selezione, formazione e retribuzione dei consulentigiovani/giovanissimi”, quelli cioè che hanno le caratteristiche personali per diventare futuri CF ma non hanno alcuna esperienza di lavoro pregressa. Dei tre capitoli di investimento (selezione, formazione e retribuzione), l’ultimo è certamente quello più costoso, perché presuppone una retribuzione “a fondo perduto” – o meglio, a break even lungo – per un periodo non inferiore a due anni. Ipotizzando l’ingresso graduale di circa 10.000 neolaureati nei prossimi tre anni, l’investimento complessivo del sistema si tradurrebbe – volendo abbondare – in circa 150 milioni di euro; una cifra che le reti sono perfettamente in grado di sostenere, e che determinerebbe l’abbassamento dell’età media a livelli di conservazione e continuità della categoria non solo nel medio, ma anche nel lunghissimo periodo.

Certamente ciò significherebbe anche l’abbandono del mantra del portafoglio medio, ma c’è da dire che l’investimento nei giovani non sarebbe del tutto a “lento break-even”, se solo il sistema decidesse di remunerare sempre di più la consulenza, rendendola indipendente dalla effettiva acquisizione delle masse del cliente, e cioè sciogliendo l’ultimo tabù – quello del contratto di consulenza indipendente “venduto” dalle reti – che potrebbe determinare buona parte della “copertura finanziaria” dell’investimento nei giovanissimi neolaureati da avviare nella professione dopo una prima fase di training (magari in affiancamento con i colleghi più esperti).  

Nel frattempo, i clienti appartenenti alla Generazione Z bussano già adesso alla porta della Consulenza Finanziaria, ma ad accoglierli c’è oggi un esercito di consulenti “anziani”, molti dei quali poco avvezzi all’uso degli strumenti tecnologici e, soprattutto, poco rappresentativi per dialogare efficacemente con clienti molto giovani, lontani anni-luce dal loro modo di pensare.

Età media dei professionisti in aumento, ricambio generazionale al palo. Dimenticato il progetto di legge sui consulenti finanziari in società

Dopo il trasferimento (non retribuito) ai consulenti di molte mansioni amministrative, il progetto di legge del leghista Centemero rischiava di dare alle società mandanti la possibilità di scaricare sui professionisti anche i costi della formazione delle nuove leve.

La promessa elettorale del deputato (e Capogruppo) della Lega Giulio Centemero, alla vigilia della tornata elettorale europea, era stata chiarissima: anche i consulenti finanziari che lavorano su base non autonoma avrebbero potuto svolgere l’attività di consulenza in forma associata, così come i colleghi indipendenti. E così, Centemero depositava a maggio scorso il progetto di legge denominato “Modifiche agli articoli 3 e 31 del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, in materia di esercizio dell’attività di consulente finanziario, abilitato all’offerta fuori sede, da parte di soggetti costituiti in forma societaria” (atto Camera n. 1817).

Non ci è dato conoscere il testo completo del PDL (non è più visibile online nel sito del Parlamento, e l’on. Centemero non ha ancora risposto alla nostra richiesta di visionarlo) ma, in buona sostanza, era stato annunciato da più parti che esso avrebbe permesso ai consulenti, una volta diventato legge, di creare delle società, da gestire nel rispetto dell’autonomia organizzativa dei singoli intermediari.

L’iniziativa parlamentare era stata salutata dai suoi sponsor come un nuovo strumento utile ad incentivare l’ingresso nel mondo della consulenza finanziaria dei neolaureati e a consentire quel ricambio generazionale di cui oggi non si vede traccia.

Oggettivamente, concentrandoci su quest’ultimo aspetto, non si vede alcun rapporto di causa-effetto tra una nuova forma organizzativa dei consulenti finanziari e l’avvio alla professione dei più giovani. Non lo si vedeva a Maggio, e non lo si vede adesso che si riprende a parlare (complice il caldo estivo) dell’argomento.

Anzi, l’insistenza degli sponsor di questo progetto di legge sulla inesistente equazione consulenti in società=introduzione dei giovani,  spinge a fare alcune riflessioni. In particolare, quella secondo cui questa idea strampalata di validare le società di consulenti in regime di mono-mandato non nasconda, in realtà, la volontà del sistema di scaricare sulla rete commerciale, dopo le numerose mansioni amministrative non retribuite, anche l’attività (e i costi) di formazione delle nuove leve.

Non è difficile giungere a questa conclusione: le società mandanti preferiranno, finchè possibile, pagare dei bonus di ingresso ai consulenti meno giovani e con portafoglio, invece di investire in formazione e avviamento dei neolaureati. Relativamente a questi ultimi (che per via della loro giovane età ed inesperienza hanno poca presa sulla clientela più “pregiata”), le banche-reti dovrebbero mettere su una costosa macchina organizzativa che assicuri la selezione dei soggetti più promettenti, l’affiancamento di tutor/supervisori specializzati nel coaching, l’organizzazione di docenti e materiale didattico per la preparazione all’esame, ed un tempo di attesa di almeno 18 mesi prima che uno di questi nuovi consulenti possa cominciare a camminare con i propri piedi e assicurare ricavi.

Tutto troppo costoso, soprattutto in un momento in cui, con la MiFID II, la restrizione dei margini non permette squilibri nel conto economico.

Pertanto, l’età media dei consulenti si innalzerà ancora, e l’unico rimedio per arginare la diluizione dei portafogli dei professionisti in uscita sarà quello di reclutare risorse più giovani (sui 35-40 anni, già sul mercato e con esperienza) a cui affidare il portafoglio clienti dei colleghi in uscita per raggiunti limiti di età.

Mentre la categoria sta sparendo, In Italia, a quanto pare, c’è ancora qualcuno che crede che certi eventi accadano per caso, o per via di strategie sbagliate da parte di soggetti in buona fede.

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