Novembre 4, 2025

Concordato fiscale e buona fede nelle trattative per i consulenti finanziari

Nota sulla struttura analitica del D.lgs. 12 febbraio 2024. Necessario un chiarimento da parte dell’Agenzia delle Entrate, per cui attenzione a dare certezza assoluta a quella che è solo una mera possibilità.

A cura di Marco Da Villa* e Manlio Marucci**

Si è aperto di recente un acceso e interessante dibattito intorno al concordato preventivo biennale[1] ed alla sua utilità per i consulenti finanziari che stanno valutando di cambiare mandante; dibattito che è anche alimentato con diverse interpretazioni della norma dell’Agenzia delle Entrate, da parte di Anasf ed Assoreti e che certamente non intende affievolirsi. La questione principale ruota intorno alla inclusione o esclusione dal concordato dei premi di ingaggio, i cd “entry bonus“, molto amati dai Consulenti finanziari e Managers.

La questione non è ancora stata dipanata, e permane il silenzio dell’Agenzia delle Entrate su questo aspetto. Nonostante l’incertezza della norma e del suo aspetto ermeneutico, si è consolidata la prassi per cui, durante il processo di recruiting, al candidato venga detto che oggi la tempistica per cambiare casacca sia perfetta come mai verificatesi negli anni scorsi, posto che, aderendo al concordato, i bonus di ingresso ed i premi per il trasferimento di portafoglio verrebbero meglio gestititi, sostanzialmente evitando di pagare su di essi l’imposta dovuta. Inoltre, viene aggiunto che si andrebbe ad ottenere pure un inevitabile impatto positivo anche rispetto agli eventuali oneri da dover corrispondere al precedente mandante (mancato preavviso, anticipazioni non maturate, penali per patti di fedeltà non rispettati, ecc.), Tutti oneri che sarebbero – in virtù dei benefici ottenuti con il risparmio fiscale derivante dall’adesione al concordato – meglio assorbiti dal consulente finanziario obbligato alla loro corresponsione.

Il nuovo mantra possiamo così sintetizzarlo: entrando in una nuova rete si incasserebbe l’entry bonus esentasse e, con i soldi risparmiati, si andrebbero a meglio estinguere le eventuali pendenze con l’intermediario precedente. L’occasione era ed è troppo ghiotta, gli operatori delle reti di consulenza finanziaria – in particolare coloro che si occupano di selezione ed inserimento di consulenti –  hanno immediatamente trasformato l’opportunità offerta dal concordato in una nuova e, potenzialmente, ottima arma di persuasione per favorire i reclutamenti di nuovi consulenti finanziari. Tuttavia – a parere di chi scrive – a causa della citata situazione di incertezza, non vi è oggi alcuna garanzia che l’espediente funzioni.

Il problema è insito nella natura dei bonus di ingresso che, di fatto sono pur sempre provvigioni ma “straordinarie”, cioè legate ad un evento particolare non ripetibile come l’apporto del pacchetto clienti dalla società precedente; per di più si tratta di pagamenti non ricorrenti, perché corrisposti per un periodo limitato nel tempo. Va anche detto che queste caratteristiche dei premi di ingaggio sono assimilabili alla categoria delle componenti straordinarie di reddito invece che a quella delle componenti di reddito derivanti dall’ordinaria attività del consulente; con la conseguenza che, se davvero fossero interpretati come redditi straordinari, questi bonus sarebbero esclusi dal concordato.

Sulla base delle nostre riflessioni, il consiglio non può che essere quello di agire con prudenza e di valutare bene le conseguenze di dover affrontare, in futuro, un contenzioso con l’Amministrazione fiscale che potrebbe contestare di aver assoggettato a concordato importi che invece fuggivano dal perimetro applicativo dello stesso. Peraltro, se al momento dell’ingresso della nuova rete si firmeranno “patti di stabilità” e/o  “accordi con obiettivi a lunga scadenza”, il tutto correlato da pesanti penali, va ricordato che tali vincoli permarrebbero anche ove naufragasse il progetto di risparmio fiscale.

Una buona tutela potrebbe essere quella di pretendere l’inserimento nella “side letter” di una “clausola di salvaguardia” per il caso in cui il concordato si rivelasse, alla fine, inapplicabile al caso concreto, giusto per avere una copertura degli sbilanci economici e delle conseguenze di una condotta fiscalmente rivelatasi sbagliata. In realtà sarebbe sufficiente – affinché il candidato assumesse una decisione ponderata e consapevole – che l’informativa resa durante l’attività di recruiting fosse sempre veritiera, non fuorviante né confusionale, nel rispetto della massima onestà intellettuale e trasparenza, anche relativamente ai rischi derivanti per il consulente finanziario dal cosiddetto “cambio di casacca“.

In termini giuridici, va applicato il noto e basilare principio del parlar chiaro. La buona fede impone alle parti di agire in modo leale, onesto e corretto durante le trattative precontrattuali, evitando comportamenti ingannevoli o omissivi che possano indurre l’altra parte a concludere il contratto su basi errate o in ogni modo a seguito di vizi del consenso. Di conseguenza, in relazione alla opportunità di avvalersi del concordato biennale per ottenere lo sconto fiscale sui bonus di ingresso, sarebbe necessario trasferire al candidato il concetto che al momento non siamo di fronte ad un fatto certo ed assoluto, ma ad una mera possibilità soggetta ancora ad una interpretazione oggettiva della norma finale da parte della stessa Agenzia delle Entrate.

*Avvocato dello studio legale Frame Lex e consulente Federpromm

** Presidente Federpromm

[1] Il Concordato Preventivo Biennale (CPB) è un accordo tra l’impresa e Agenzia delle Entrate che stabilisce in anticipo la base imponibile su cui pagare le tasse per un periodo di due anni. In pratica, l’impresa e l’Agenzia delle Entrate concordano una somma che l’azienda dovrà pagare, indipendentemente dai redditi effettivi generati durante quel biennio. Una soluzione che promette stabilità e semplificazione, ma che potrebbe anche bloccare le imposte su livelli elevati, limitando la flessibilità fiscale dell’impresa.

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