Ottobre 12, 2025
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la Fed taglia i tassi, la BoE attende, le commodity puntano al superciclo

La Federal Reserve avvia il ciclo di allentamento, la Banca d’Inghilterra resta ferma; domanda solida e vincoli di offerta rafforzano le prospettive a lungo termine per le materie prime.

Le previsioni degli analisti più saggi, e cioè di una decisione della Fed più cauta rispetto al mega taglio sognato da Trump, è stata pienamente rispettata, e la Federal Reserve ha ridotto il tasso di riferimento di 25 punti base (al 4,00-4,25%, il primo taglio da dicembre).

Ad oggi, la maggior parte dei funzionari prevede almeno altri due tagli entro fine 2025 e cinque tagli in totale entro la prima metà del 2026; questo dovrebbe compensare la dichiarata delusione del presidente americano per il taglio “poco coraggioso” appena effettuato. La Federal Reserve, in particolare, segnala di voler sostenere crescita e occupazione, soprattutto di fronte ai segnali di indebolimento del mercato del lavoro, restando però vigile sull’inflazione. Ma la pressione politica crescente per ulteriori tagli ai tassi rende la posizione del presidente Jerome Powell sempre più difficile. Riuscirà davvero a decidere riunione per riunione, come sostiene, o sarà costretto a cedere alle pressioni esterne?

Ma mentre la Fed avvia l’allentamento, molte banche centrali restano in attesa: nessun taglio da parte di BCE e Banca del Giappone. La Banca del Canada ha invece ridotto i tassi di 25 punti base, segnalando un’inflazione in calo e i timori legati al mercato del lavoro. Nel Regno Unito, la Banca d’Inghilterra ha mantenuto il tasso di riferimento al 4% e ridotto il ritmo del quantitative tightening, abbassando l’obiettivo di vendita di bond da 100 a 70 miliardi di sterline. Con un’inflazione ancora alta (3,8%), l’economia del Regno Unito non è ancora ritenuta “fuori pericolo”. Dopo il taglio della Fed, comunque, i titoli tech hanno trainato i listini europei, probabilmente sulla scorta della previsione di un analogo abbassamento dei tassi alla prossima riunione della Bce.

Relativamente alle materie prime e ai metalli preziosi, dopo il taglio dei tassi della Fed l’oro spot ha rallentato a causa del rafforzamento del dollaro, ma resta vicino ai massimi storici (circa 3.707 $/oncia questa settimana). Diverse banche, tra cui UBS, prevedono un rialzo fino a 3.800 $ entro fine 2025. Invece rame, terre rare e altri minerali strategici potrebbero entrare in una fase di rialzo a lungo termine. La forte domanda da veicoli elettrici, rinnovabili e infrastrutture IA/dati, unita a vincoli geologici e sottoinvestimenti, rafforza l’idea che il potenziale delle commodity sia sottovalutato. 

Mercato azionario positivo, in attesa che la Fed tagli i tassi

Nessuna recessione tecnica Usa all’orizzonte, grazie a utili solidi, consumi resilienti e all’apertura della Fed su un possibile taglio dei tassi.

di Filippo Garbarino, gestore del fondo Lemanik Global Equity Opportunities

Nonostante l’incertezza legata ai dazi, i piani di spesa in conto capitale per il 2025 non sono stati materialmente rivisti al ribasso dalle aziende USA e questo è un segnale di grande fiducia nella performance del loro business e dell’economia americana più in generale.

Inoltre, la Fed ha segnalato una crescente apertura a un taglio dei tassi d’interesse, nel caso in cui la disinflazione dovesse proseguire o il mercato del lavoro peggiorasse. Per questo, non ci aspettiamo una recessione tecnica nel breve termine, benché l’economia Usa stia attraversando una fase di rallentamento. A sostenerla, sono i recenti risultati aziendali e le stime economiche per il 2025, che si sono dimostrati solidi, specialmente nel settore tecnologico. Inoltre, i dati relativi alle carte di credito mostrano una notevole resilienza dei consumi.

L’attuale contesto dei mercati azionari resta positivo. L’incertezza legata ai dazi abbia raggiunto il suo picco, dato che le notizie recenti su questo fronte sono migliorate. Il mercato continuerà inoltre a essere sostenuto da solidi utili aziendali e da ritorni di capitale agli azionisti, inclusi i buyback. Nell’economia USA permangono, tuttavia, due aree di debolezza: il settore manifatturiero, con l’indice ISM che indica ancora una fase di contrazione, e il mercato immobiliare, che resta stagnante a causa degli elevati tassi sui mutui. In ottica di investimenti, il nostro portafoglio ha l’obiettivo di battere i benchmark di settore nel medio periodo in una pluralità di scenari di mercato ed è sovrapesato sul settore finanziario, industriale, chimico e dei beni di consumo discrezionali. Mentre non ha banche, technology hardware, beni di consumo non discrezionali, farmaceutici, immobiliare e utilities. Anche il settore tecnologico è sottopesato per esempio su Applied Materials.

Pil USA forte e adesso un taglio dei tassi Fed. In Europa la crisi tedesca non si spegne

L’indipendenza della Fed in discussione mentre i mercati si preparano a un taglio dei tassi a settembre. Nel primo semestre ben 11.900 aziende tedesche hanno gettato la spugna.

La scorsa settimana lo S&P 500 ha chiuso a un nuovo massimo grazie ai solidi dati su PIL e consumi USA, che hanno rassicurato gli investitori nonostante le tensioni sui dazi. Nvidia ha perso terreno dopo gli utili, ma l’ottimismo sull’IA ha sostenuto titoli dei chip come Broadcom e Micron. Il 29 agosto, però, i future USA sono scesi mentre gli investitori attendevano i dati sull’inflazione dopo la revisione al rialzo del PIL. Pertanto, nonostante i record dell’S&P 500, restano timori sui tempi del trend dei tagli ai tassi e sui rischi geopolitici, sebbene i mercati stimano l’87% di probabilità di un taglio dei tassi a settembre. Nel frattempo l’oro, spinto dal dollaro debole e dai timori sull’indipendenza della Fed, ha toccato il massimo da 5 settimane a 3.417 $/oncia.  

Ciò che preoccupa di più è la pressione costante che il presidente Trump sta esercitando sulla Fed. Sul tema, l’ex presidente della Fed di New York, Bill Dudley, avverte che il tentativo di Trump di licenziare la governatrice Lisa Cook potrebbe minare l’indipendenza della banca centrale. Se dovesse riuscirci, Trump potrebbe presto nominare la maggioranza nel consiglio della Fed, ottenendo influenza sulla politica dei tassi d’interesse, e ciò aprirebbe la porta a tagli dei tassi guidati dalla politica e a caos interno. I mercati non hanno ancora reagito, ma Dudley ritiene che dovrebbero preoccuparsi. 

Sul fronte dei dazi, giovedì scorso l’UE ha accettato di eliminare i dazi sui beni industriali americani e concedere vantaggi sui frutti di mare, in cambio di dazi USA più bassi sulle auto. L’accordo necessita ancora l’ok dell’UE, mentre restano le tensioni sulla digital tax alle aziende tech statunitensi. In Europa, I titoli bancari sono vicini ai massimi dal 2008, con un +40% da inizio anno, grazie a utili solidi e minori timori di tagli ai tassi. Gli analisti parlano di un “punto ottimale”, ma le tensioni politiche in Francia e l’aumento dei default potrebbero mettere alla prova il sentiment. In più, si è registrato un calo dell’1,5% delle vendite al dettaglio tedesche di luglio (molto peggio delle attese), mentre la debole domanda dei consumatori aumenta la pressione su un’economia già in contrazione. 

E se c’è una fonte di grande preoccupazione per l’economia europea, quella è certamente la situazione in Germania, un tempo locomotiva di tutto il continente. Nel primo semestre del 2025, ben 11.900 aziende tedesche hanno gettato la spugna, un aumento del 9,4% rispetto all’anno precedente. I fallimenti di giganti come Gerry Weber e Lilium mostrano come la crisi può colpire sia aziende con decine d’anni di vita, sia startup in settori potenzialmente esplosivi. A luglio, le insolvenze aziendali in Germania sono aumentate del 19,2% rispetto all’anno precedente; un’escalation che ha fatto svanire le speranze di una ripresa, dopo un breve ed effimero calo a maggio. Secondo l’Ufficio federale di statistica, l’onda di fallimenti non si è mai fermata, e tutto questo sembra essere il segnale di una crisi economica e strutturale che è frutto di errori successi in diversi anni.

 

Outlook mercati: le tensioni in Medio oriente fanno salire l’oro, mentre la Fed resta prudente sui tagli

L’oro sale sulla scia delle tensioni nucleari. La Svizzera taglia i tassi a zero, mentre i mercati osservano l’atteggiamento della Fed sui tassi. Il mondo delle criptovalute sotto osservazione.  

Nella settimana appena trascorsa, le borse globali hanno tenuto, dopo che la Casa Bianca ha ridimensionato l’ipotesi di un intervento militare immediato in Iran. L’indice europeo Stoxx 600 è salito dello 0,5%, mentre i future di S&P 500, Nasdaq 100 e Dow Jones hanno perso lo 0,2%. Il Brent è sceso dell’1,9% a 77,33 $, attenuando i timori di uno shock dell’offerta. Il dollaro si è leggermente indebolito, mentre il Bitcoin è salito del 2%. In particolare, Venerdì le azioni europee sono salite grazie all’allentarsi dei timori di un coinvolgimento imminente degli Stati Uniti nel conflitto tra Israele e Iran. A trainare i rialzi sono stati i titoli del settore viaggi e bancario, mentre l’energia ha registrato una lieve flessione.

I segnali di moderazione diplomatica e la decisione dei leader globali di rinviare interventi significativi per almeno due settimane hanno contribuito a calmare i nervi degli investitori, consentendo ai mercati di ritrovare una certa stabilità. E così, i mercati azionari nazionali hanno continuato a muoversi lateralmente per la sesta settimana consecutiva, ma sono comunque riusciti a chiudere con guadagni soddisfacenti. Gli investitori hanno ignorato il nervosismo di metà settimana causato dall’escalation del conflitto Iran-Israele e dal brusco rialzo dei prezzi del petrolio greggio. L’andamento settoriale durante la settimana è stato contrastante. I settori sensibili ai tassi, come auto, banche, finanza e immobiliare, hanno registrato rialzi, mentre un rimbalzo dei titoli IT ha ulteriormente migliorato il sentiment generale del mercato. D’altra parte, i settori difensivi sono rimasti indietro a causa di una più ampia propensione al rischio, mentre i titoli dei settori metallifero ed energetico hanno registrato una certa acquisizione di profitti. 

Sul fronte dei tassi di interesse, continua lo scontro tra governo USA e Federal Reserve. Infatti, Donald Trump, alla vigilia della decisione sui tassi di mercoledì scorso, aveva definito “stupido” il presidente della Federal Reserve, Jerome Powell.  Secondo il presidente USA – secondo cui è improbabile che Powell riduca i tassi nel corso dell’anno – l’inerzia della Fed sta costando miliardi agli Stati Uniti, e i tassi dovrebbero essere almeno 2 punti percentuali più bassi. La Fed, invece, ha mantenuto i tassi fermi al 4,25%-4,50%, e pur lasciando i tassi invariati ha segnalato di monitorare attentamente eventuali segnali di rallentamento dell’economia. I progressi sull’inflazione restano lenti, ma i mercati prevedono ora due tagli entro fine anno. Gli operatori osservano con attenzione l’andamento del petrolio e le tensioni geopolitiche, che potrebbero influenzare la tabella di marcia della Federal Reserve. Nel frattempo, la versione “incendiaria” di Trump – che ci ha abituato al suo umore a fasi alterne – ha lasciato intendere che potrebbe nominare un nuovo presidente prima della scadenza del mandato di Powell nel 2026, minacciando così una decisione in pieno “Erdogan-style” che certamente non farebbe bene al rating del debito statunitense e al Dollaro.

Sul fronte degli investimenti alternativi, dopo aver superato i 3.600 $ l’oncia la scorsa settimana i prezzi dell’oro si mantengono alti intorno ai 3.390 $, spinti dalla reazione dei mercati ai raid aerei israeliani contro le infrastrutture nucleari e missilistiche iraniane. Gli investitori continuano a cercare protezione nei beni rifugio tradizionali, sostenendo il forte slancio rialzista del metallo prezioso in un clima di timori per un possibile allargamento del conflitto in Medio Oriente.  Il Brent, invece, è sceso dell’1,9% a 77,33 $, attenuando i timori di uno shock dell’offerta, mentre il Bitcoin è salito del 2%, superando i 106.000 $. 

Al di fuori dell’Unione Europea (ma sempre nel Vecchio Continente), la Banca nazionale svizzera ha portato il suo tasso di riferimento allo 0%, con il sesto taglio consecutivo, mentre tornano i segnali di deflazione e il franco si rafforza. La banca centrale ha lasciato intendere che potrebbero esserci ulteriori allentamenti se la situazione dovesse peggiorare, in netto contrasto con la Federal Reserve e la Bank of England, che hanno invece mantenuto i tassi invariati. Nel Regno Unito, a maggio le vendite al dettaglio sono calate del 2,7%, segnando il peggior dato dal 2023. Le vendite alimentari sono scese del 5% e tutti i principali settori del commercio hanno registrato flessioni. Il brusco calo ha cancellato i guadagni di inizio 2025, e segnala un indebolimento dell’economia nel secondo trimestre; e adesso il governo laburista è sotto pressione per rilanciare la crescita ed evitare aumenti fiscali.

A margine – ma non troppo – cresce il dibattito sulle cryptovalute e sulla necessità di regolamentarle. Infatti, la crescita esplosiva delle stablecoin, spinta dall’IPO di Circle e dall’interesse di Wall Street, sta attirando l’attenzione delle autorità di regolamentazione globali. Secondo Citigroup, il settore potrebbe raggiungere i 1.600 miliardi di dollari entro il 2030, mettendo a rischio la finanza tradizionale, mentre enormi volumi di liquidità si spostano verso i token digitali. Queste monete, sostenute in gran parte da titoli di Stato USA, detengono oggi più debito pubblico statunitense a breve termine di alcune grandi nazioni. Un crollo improvviso potrebbe scatenare vendite destabilizzanti, far impennare i rendimenti e prosciugare la liquidità dei mercati. 

Politiche monetarie espansive: la Bce ha più carburante della Fed. Positivi sull’azionario Europa

La Bce ha più margine di manovra rispetto alla Fed per adottare una politica accomodante. Il piano da 500 miliardi di euro della Germania promette effetti significativi a partire dal 2026.

di Andrea Scauri, gestore del fondo azionario Lemanik High Growth*

In Europa, il contesto appare particolarmente favorevole. La Bce ha più margine di manovra rispetto alla Fed per adottare una politica accomodante, e il piano da 500 miliardi di euro della Germania promette effetti significativi a partire dal 2026. Le valutazioni rimangono interessanti, soprattutto in uno scenario di ripresa degli utili. Per questi motivi, manteniamo una visione costruttiva sui mercati azionari, conservando un margine di liquidità per cogliere opportunità tattiche in caso di nuove correzioni.

I mercati azionari globali hanno chiuso il mese di maggio con forti guadagni, recuperando rapidamente le perdite registrate dopo il Liberation Day. Il rimbalzo, sia in termini di velocità che di intensità, ha ricordato il rally post-Covid, alimentato da una combinazione di fattori macroeconomici e geopolitici favorevoli. Il principale catalizzatore è stato l’annuncio di una tregua commerciale di 90 giorni tra Stati Uniti e Cina (con riduzioni tariffarie reciproche al 30% sui prodotti cinesi e al 10% sui prodotti statunitensi), che ha segnato una svolta nella politica commerciale di Trump: meno ideologia, più pragmatismo nei negoziati. Questo allentamento delle tensioni ha contribuito a ridurre la probabilità di una recessione negli Stati Uniti dal 50-60% al 30-40%.

Sul fronte macroeconomico, i “dati hard” rimangono solidi, mentre i “dati soft” dovrebbero migliorare, sostenuti dalla ripresa degli asset rischiosi e dal clima meno teso. A sostenere ulteriormente il sentiment del mercato è stata una sentenza della Corte del Commercio Internazionale degli Stati Uniti, che ha ritenuto che l’amministrazione Trump abbia ecceduto i propri poteri legali nell’imporre la maggior parte dei dazi, affermando che l’IEEPA (International Emergency Economic Powers Act) non consente dazi illimitati. La decisione riguarda specificamente i dazi del 10%, 25% e 20% su vari partner commerciali, ma esclude quelli su acciaio, alluminio e automobili. La sentenza potrebbe anche complicare il piano fiscale dell’amministrazione, che faceva affidamento sui dazi come fonte di entrate. Se confermata, strumenti tariffari alternativi come la Sezione 232 potrebbero ancora essere utilizzati, ma la posizione negoziale con i partner commerciali risulterebbe ulteriormente indebolita.

I mercati azionari italiani hanno continuato a sovraperformare gli altri indici, grazie alla forte performance del settore finanziario (indice bancario +8%) e al forte rimbalzo di diversi titoli mid-small cap chiave (tra cui Fincantieri +36%, Technoprobe +21%, Danieli +20%, che rappresentano posizioni chiave del nostro portafoglio). Tutto ciò è avvenuto in un contesto favorevole per il mercato obbligazionario, con lo spread Btp-Bund sceso sotto i 100 punti base. Allo stesso tempo, nelle ultime settimane l’attenzione si è concentrata anche sui tassi di interesse e sul debito pubblico statunitense. Negli Stati Uniti, i rendimenti hanno registrato un’accelerazione a maggio (+25 punti base al 4,4%) a causa dei timori sulla sostenibilità fiscale, alimentati da una nuova legge fiscale che proroga i tagli alle imposte e aumenta il tetto del debito di 4.000 miliardi di dollari. La proposta è stata finora approvata a stretta maggioranza dalla Camera e deve ancora essere approvata dal Senato, dove sono previste alcune modifiche. Il Congressional Budget Office stima che la legge aggiungerebbe altri 3,8 trilioni di dollari al deficit statunitense tra il 2026 e il 2034. E così, Moody’s ha declassato il rating del debito sovrano statunitense da AAA ad Aa1, allineandosi a S&P e Fitch. La ragione principale citata è stata l’incapacità dei governi che si sono succeduti di contenere la crescita del debito e la prevista proroga del Tax Cuts and Jobs Act del 2017, senza un corrispondente piano credibile di riduzione della spesa.

Particolare attenzione è stata prestata anche alle ultime aste di titoli di Stato giapponesi, che hanno mostrato segni di tensione soprattutto nelle scadenze ultra-lunghe. Il rendimento dei titoli di Stato giapponesi a 30 anni è salito di +32 punti base, raggiungendo il 3%, un livello che non si vedeva da oltre due decenni. Il picco dei rendimenti riflette una combinazione di fattori strutturali: inflazione persistente e riduzione della liquidità. Questa rivalutazione ha riacceso l’attenzione su una questione delicata per il mercato globale: il graduale smantellamento del cosiddetto carry trade sullo yen. Per anni, i tassi ultra-bassi in Giappone hanno incentivato gli investimenti finanziati in yen in attività a rendimento più elevato, come i titoli del Tesoro statunitensi. Ma con l’aumento dei rendimenti e il tapering della BoJ, il rischio di smantellamento di queste posizioni rimane un tema chiave da tenere d’occhio.

L’indice delle materie prime ha registrato un leggero aumento nel mese (+1,2%). Dopo un forte rialzo dall’inizio dell’anno e un aumento dei tassi reali statunitensi nel mese (+26 pb al 2,2%), l’oro è rimasto sostanzialmente stabile (a 3.280 dollari l’oncia). Il petrolio ha registrato una leggera ripresa (+1% a 64 dollari al barile), mentre il mercato rimane cauto a causa del graduale rollback dei tagli volontari dell’OPEC+ e di un cambiamento strategico volto a riconquistare quote di mercato e migliorare la conformità all’interno dell’OPEC.

Nei prossimi mesi i mercati rimarranno concentrati su diverse dinamiche che potrebbero influenzare l’andamento degli utili societari, dopo un primo semestre decisamente positivo per le azioni. In particolare, l’attenzione sarà rivolta a un potenziale rallentamento dell’attività nei prossimi due trimestri, legato a una naturale correzione dopo l’anticipo degli ordini che ha sostenuto la domanda negli ultimi mesi. Ciò potrebbe innescare una fase di raffreddamento, soprattutto nei settori ciclici, già sotto pressione a causa dell’incertezza commerciale globale. Sul fronte dei dazi, sebbene sia escluso un ritorno allo scenario precedente al “Liberation Day“, lo scenario di base ipotizza ancora un livello medio dei dazi intorno al 10% da parte degli Stati Uniti, che rimane storicamente elevato. Anche se l’impatto potrebbe essere più diluito nel tempo rispetto a quanto inizialmente previsto, è probabile che continui a rappresentare un freno parziale alla crescita.

In questo contesto, tuttavia, i responsabili politici sembrano pronti a intervenire: dagli Stati Uniti all’Europa alla Cina, i governi stanno preparando misure fiscali mirate, mentre le banche centrali (Fed e Bce) rimangono proattive e pronte ad aumentare il sostegno monetario se necessario. In questo contesto, i nostri temi preferiti includono la difesa, che è ancora al centro del nostro portafoglio con posizioni concentrate su Leonardo e Fincantieri. Telecom Italia Svg, la posizione principale grazie al solido caso di investimento, supportato da un panorama competitivo migliore e da una governance molto più lineare con l’ingresso di Poste Italiane. Restiamo molto selettivi sul settore finanziario, con una preferenza per i titoli con un’elevata componente di commissioni (Fineco), mentre tra le banche tradizionali le nostre preferite sono BMPS e Unicredit.

A trainare il settore delle infrastrutture sono gli investimenti previsti dal fondo tedesco per il rinnovamento energetico, digitale e infrastrutturale (Buzzi, Danieli Sav.). Le mid e small cap italiane, che dopo anni di sottoperformance offrono valutazioni interessanti e sono esposte a catalizzatori quali il taglio dei tassi da parte della Bce, il lancio del Fondo Strategico Nazionale CDP in Italia e l’attuazione del piano tedesco. Siamo invece più cauti sul settore del lusso: quest’ultimo è ancora sotto pressione a causa della debole domanda in Cina e negli Stati Uniti, ma con valutazioni tornate a livelli interessanti. Abbiamo iniziato a ricostruire alcune posizioni selezionate sui servizi di pubblica utilità, in un contesto di tassi che prevediamo saranno inferiori rispetto al recente passato. Siamo infine più positivi sul settore dei semiconduttori, sulla base della nostra sensazione che il fondo sia stato raggiunto.

* Vincitore del Morningstar Award 2025 per il miglior fondo categoria “Azionari Italia”

Fed: rischi di inflazione in aumento. L’oro si stabilizza, l’Europa instabile con le elezioni tedesche

La Fed avverte sui rischi inflazionistici, l’oro frena ma punta all’ottava settimana di rialzi, USA e Russia trattano in Arabia Saudita sulla guerra in Ucraina. In Europa frizioni sulla sicurezza.

A cura di Gold Avenue

L’Europa rivede la sicurezza dopo la svolta USA. “Sconvolgere la sicurezza transatlantica porta a un boom iniziale per i titoli della difesa, ma il futuro è incerto.” L’alleanza con gli USA vacilla dopo che il vicepresidente JD Vance ha minimizzato la minaccia russa. I leader europei puntano su una difesa più forte e un ruolo chiave nei negoziati di pace in Ucraina. I titoli della difesa salgono, ma restano dubbi economici. Le elezioni in Germania potrebbero aumentare l’instabilità.

In USA, il Dow ha perso 451 punti giovedì, mentre l’S&P 500 e il Nasdaq sono scesi dello 0,4% e dello 0,5%, con gli investitori che hanno venduto titoli popolari dopo le previsioni deludenti del colosso del retail Walmart. I titoli tecnologici in difficoltà: Palantir in calo del 5%, Tesla in flessione del 3%. I rendimenti dei Treasury sono scesi, con il decennale in ribasso di 5 punti base al 4,18%. Nel frattempo, l’Oro è sceso dello 0,4% a 2.926,54 $ l’oncia venerdì, ma segna l’ottava settimana consecutiva di rialzi (+1,5%). Giovedì ha toccato un record di 2.954,69 $, sostenuto dai timori sulle tariffe di Trump. Gli analisti vedono il rally intatto sopra i 2.850 $.

Sussidi di disoccupazione USA in rialzo. Le richieste iniziali salgono a 219.000 (+5.000), mantenendosi sui livelli pre-Covid. Le richieste continuative aumentano a 1,87 milioni, segnalando una domanda di lavoro ancora stabile. Intanto, Meta e Southwest Airlines annunciano licenziamenti, segno di crescenti pressioni aziendali. La Fed resta prudente sui tagli dei tassi, in attesa di segnali più chiari sull’inflazione. Il presidente della Fed di St. Louis teme che l’inflazione resti bloccata sopra il 2% e sostiene la necessità di una politica “moderatamente restrittiva” fino a stabilità raggiunta. Vede un rischio maggiore di inflazione persistente rispetto a un rallentamento del mercato del lavoro. I funzionari della Fed restano prudenti, mentre le incertezze su commercio e immigrazione complicano il quadro economico.

Per quanto riguarda i mercati azionari, gli investitori riducono le scommesse post-elettorali, preoccupati dalle minacce tariffarie di Trump. L’S&P 500 sottoperforma rispetto a Europa, Cina e Messico, mentre le small-cap, inizialmente viste come le più avvantaggiate, soffrono l’effetto dei tassi elevati. Anche il boom delle criptovalute post-elettorale si raffredda, con l’incertezza sulle promesse regolatorie che pesa sul mercato. Il Petrolio, invece, è in rialzo, con i prezzi che superano i 72 $ al barile per i timori sull’offerta e del dollaro debole. Un’interruzione in Kazakistan e voci su un rinvio degli aumenti OPEC+ spingono i prezzi, mentre le scorte USA crescono per la quarta settimana.

Il taglio della Fed inefficace contro il credito speculativo, qualcosa non quadra

Il taglio dei tassi della Fed non sarà così efficace, visto che i tassi del credito speculativo sono ai massimi. Si teme che le politiche economiche e monetarie degli Stati Uniti possano andare in rotta di collisione.

Di Maurizio Novelli, gestore del fondo Lemanik Global Strategy

Dopo il taglio dei tassi effettuato di recente dalla Fed, ciò che stupisce è l’entità dell’intervento accompagnata alle rassicurazioni che tutto è okay, generando così una fase di incertezza che sarà molto difficile gestire. Infatti, il dubbio che qualcosa non va comincia a prendere spazio, e le banche d’investimento di Wall Street dovranno scatenare una massiccia campagna di marketing per convincere gli speculatori che il sistema è solido e l’economia è forte. Il paradosso di questa vicenda è che, mentre la maggioranza degli operatori si è chiesto cosa ci sia sotto, le tonnellate di ricerca pubblicate dalle principali case d’investimento americane non hanno minimamente lasciato spazio ai dubbi di questo intervento monetario e hanno cercato di “pilotare” l’attenzione sulle future riduzioni dei tassi che arriveranno, ipotizzando uno scenario di crescita senza inflazione e con la piena occupazione.

Ritengo che sia particolarmente difficile, per gli investitori che si affidano alle analisi delle case d’investimento americane, cercare di capire come è effettivamente messo il sistema, perché i fallimenti e le insolvenze salgono come nel 2007 e perché il sistema bancario Usa non ha potuto implementare le regole di Basilea III sui rischi di bilancio. Se gli investitori sapessero che le banche americane hanno una esposizione di 3,8 Tr di dollari di prestiti verso Private Equity e Hedge Funds sui 12,4 Tr di total loans, forse vedrebbero il sistema sotto una lente diversa. Così come è meglio non parlare troppo dell’esposizione di 2 Tr di dollari al Commercial Real Estate, che ha tassi di distress “ufficiali” ormai oltre il 12%. Sommando questi numeri, si evince come l’intero book dei loans del sistema bancario Usa sia esposto a credito speculativo. Tuttavia queste notizie non circolano nel mainstream e nelle narrazioni di consenso, lasciando credere che i principali driver del sistema siano i profitti di Nvidia & C..

Nonostante il ribasso dei tassi sia stato presentato come un “farmaco per curare probabili future malattie”, occorre sottolineare che il sistema economico non avrà alcun sollievo significativo da tale riduzione, dato che i tassi sono talmente elevati per coloro che appartengono alla categoria “economia reale” che difficilmente ne sentiranno il beneficio. Infatti i tassi d’interesse su carte di credito sono nel range 24%-28%, a seconda se sei un cliente Prime o Subprime, sui prestiti auto 12%-16%, sui loans alle piccole e medie imprese al 9%. Esiste quindi una marcata differenza tra i tassi ufficiali (Fed Funds) e quelli applicati all’economia.

In realtà, la rincorsa alla lotta all’inflazione di Powell ha portato la Fed a implementare una politica monetaria decisamente restrittiva sull’economia. L’effetto monetario di tale politica è stato contrastato ferocemente dalla spesa pubblica e dalle erogazioni di sussidi alle famiglie attraverso una politica fiscale espansiva di circa 8 punti di Pil all’anno negli ultimi tre anni. La spesa pubblica ha infatti contribuito al Pil Usa per almeno il 75% della crescita avuta negli ultimi tre anni. Questo intervento pubblico ha annacquato di parecchio gli effetti restrittivi della Fed. Il “condono” sui rimborsi degli Student Loans, i sussidi settimanali ai redditi e gli interventi fiscali a pioggia hanno, per ora, tamponato la situazione. Tuttavia la restrizione monetaria ha creato seri problemi ad alcuni settori sistemici dell’economia e della finanza, in particolare al Commercial real estate, allo Shadow Banking System (Private Equity, Venture Capital, Private Credit, fondi pensione e assicurazioni) e alle banche.

È estremamente probabile che siamo già nell’anticamera della cosiddetta trappola della liquidità, e che il rischio di balance sheet recession in America sia sempre più concreto. Infatti oggi la liquidità che circola nel sistema finanziario è ancora decisamente ampia e sopra la media: le banche hanno riserve pari a 3 Tr di dollari, quando nei periodi “normali” si attestano a 1,5 Tr, lo stock di liquidità straordinario presente nel segmento dei Reverse Repo è ancora sopra i 250 bn contro i 10/15 Bn dei periodi normali e la Fed ha erogato prestiti alle banche in difficoltà per circa 400 bn. Abbiamo oltre 2 Tr di eccesso di liquidità nel sistema rispetto alle normali situazioni storiche pre Covid (8% del Pil). Nonostante questo la Fed riduce i tassi e la spesa pubblica è rimasto l’unico driver di crescita post 2021.

E’ abbastanza evidente che qualcosa non quadra. A questo punto inizia a serpeggiare il dubbio che le politiche economiche e monetarie degli Stati Uniti possano andare in rotta di collisione. Perché sostenere una economia forte con politiche fiscali ultra espansive e nel contempo ridurre i tassi d’interesse? Chi crede nella narrazione che il sistema è solido inizierà a temere che tali politiche faranno ripartire l’inflazione; ma chi sa che il sistema è malato dubita che tali politiche possano modificare i fondamentali.

Atterraggio morbido dell’economia, ma non recessione. Portafogli selettivi su banche e small mid cap

Lo scenario di base è quello di un soft landing, nonostante i segnali di rallentamento e con le banche centrali che hanno ampio spazio per tagliare i tassi da qui a tutto il 2025.

di Andrea Scauri, gestore azionario Italia presso Lemanik

Lo scenario di base prevede una crescita economica modesta che non sfoci in una recessione, con un miglioramento in Europa e un rallentamento della velocità di crescita negli Stati Uniti, in particolare dei consumi. Le banche centrali ridurranno gradualmente i tassi di interesse reali: prima la Bce, poi la Fed.

I mercati azionari globali hanno beneficiato ancora delle prospettive di un’inflazione sempre più vicina agli obiettivi delle banche centrali, e la Fed a Settembre ha sorpreso i mercati iniziando il ciclo di espansione monetaria con un taglio dei tassi di 50 punti base invece che di 25. Contestualmente, l’annuncio di un pacchetto coordinato di misure monetarie e fiscali in Cina, volto a contrastare la debolezza del mercato immobiliare, ha ulteriormente sostenuto i guadagni. Il mercato azionario cinese ha reagito positivamente a queste misure, con l’indice MSCI China che è salito di oltre il 20% da metà settembre, portando il P/E 2025E a 10x.

Per quanto riguarda la Fed, dopo il taglio di 50 punti base nell’ultima riunione il mercato si aspetta una riduzione cumulativa di quasi -200 punti base entro la fine del 2025, al 2,9%. Per la Bce, invece, le aspettative sono per un taglio di -160 punti base entro la fine del 2025, all’1,8%, visione confermata dopo il recente taglio di 25 punti base seguito ai deboli dati macro PMI e ai deboli dati sull’inflazione in Francia e Spagna.

L’indice Bloomberg delle materie prime è salito a settembre (+4,3%), ma ad Ottobre sembra aver perso il suo smalto (-3,97%). L’oro ha segnato un altro massimo storico, sostenuto dal calo dei tassi d’interesse reali, dalla debolezza del dollaro e dalle preoccupazioni geopolitiche. Nonostante la forte performance, continuiamo a considerare l’oro un asset interessante. Anche il rame è stato molto forte, sostenuto dall’annuncio del pacchetto di stimoli in Cina. Il petrolio è stato debole, con l’Arabia Saudita che ha annunciato, secondo il Financial Times, di essere pronta ad abbandonare l’obiettivo non ufficiale di prezzo del greggio di 100 dollari al barile e di essere pronta ad aumentare la produzione per riconquistare quote di mercato. Il prezzo del gas in Europa è rimasto sostanzialmente stabile a 39 euro/MWh.

Le prospettive macroeconomiche sono caratterizzate da una crescita modesta. Nel terzo trimestre si è registrato un indebolimento degli indicatori di crescita economica, che anticipa un rallentamento della crescita globale nei prossimi due trimestri, in particolare per quanto riguarda l’occupazione (negli Stati Uniti) e il settore manifatturiero (soprattutto in Europa). Tuttavia, si prevede che comincino a emergere segnali di ripresa e di miglioramento, sostenuti dalle politiche di allentamento monetario e da misure come quelle recentemente annunciate in Cina. Negli Stati Uniti, la crescita del Pil rimane robusta, con la stima della Fed di Atlanta per il Pil reale annualizzato del terzo trimestre 2024 che è salita al +3,1% dal +2% del mese precedente. In Europa, invece, la crescita del Pil nel terzo trimestre è prevista in lieve aumento, penalizzata soprattutto dal rallentamento dell’economia tedesca. Il nostro scenario di base rimane quello di un atterraggio morbido dell’economia, nonostante i segnali di rallentamento e disinflazione, con le banche centrali che hanno ampio spazio per tagliare i tassi e iniettare liquidità nel sistema per finanziare i crescenti deficit pubblici.

La strategia che si riflette nel nostro portafoglio rimane invariata, ossia un portafoglio concentrato sulle utilities, un approccio molto selettivo sulle banche e sulle small/mid cap e nessun investimento in nomi industriali ciclici. Questo approccio si riflette anche nell’aumento del nostro investimento in Tenaris. Non abbiamo investito in Stellantis perché continuiamo a ritenere che il titolo non abbia ancora toccato il fondo e non abbiamo investito in STM, perché a nostro avviso le stime debbano essere riviste materialmente al ribasso. Stiamo aumentando la nostra esposizione a Telecom Italia Savings e aumentiamo l’esposizione a Unipol.

Il Giappone unica stampella del traballante sistema finanziario americano

Negli ultimi 14 anni gli USA hanno beneficiato di due banche centrali che hanno iniettato liquidità in America. Il QE di Boj e Fed hanno sostenuto una sola economia: se il Giappone cresce, l’equilibrio si spezza.

di Maurizio Novelli, gestore del fondo Lemanik Global Strategy

La crisi di agosto dei mercati finanziari, rapidamente contenuta, lascia un messaggio molto chiaro agli investitori: appena si diffonde il dubbio che il quadro macro possa essere diverso da quello raccontato, i mercati si sgretolano nel vuoto sottostante. È particolarmente interessante notare come la psicologia che tiene in piedi questo mercato sia estremamente fragile e bisognosa di costanti interventi. In un contesto dove tutto sembra in apparenza andare nella direzione della esasperata narrazione che il sistema è solido e l’economia cresce, è bastato il dubbio che questo non fosse vero che il sistema si è immediatamente trovato in crisi.

Ma questo evento mette in evidenza anche la stretta interconnessione finanziaria che lega, in un abbraccio indissolubile, Bank of Japan e Fed, e come il Giappone sia ormai diventato l’unico puntello di sostegno del malato sistema finanziario americano. Il problema è che oggi le due banche centrali hanno obiettivi divergenti: mentre una cerca di contenere l’inflazione, l’altra cerca di produrla reflazionando. Da circa 25 anni la Boj e il risparmio giapponese hanno finanziato il leverage americano e sostenuto l’espansione del debito per finanziare la crescita Usa. Il meccanismo sta in piedi se lo yen è strutturalmente debole e i tassi del paese esportatore di capitale e di risparmio stanno a zero, mentre quelli del paese che deve importare risparmio e capitale estero stanno in territorio positivo.

Lo spread dei tassi tra dollaro e yen deve dunque essere sempre ampiamente negativo per lo yen. In questo modo tutta la politica di quantitative easing del Giappone finisce negli Stati Uniti. Il meccanismo ha consentito agli Stati Uniti di avere, per oltre 25 anni, una banca centrale che stampava moneta all’estero (Boj) ma che canalizzava poi la liquidità creata negli Stati Uniti. L’America ha quindi beneficiato, in particolare negli ultimi 10/14 anni, di due banche centrali che iniettavano liquidità nel sistema finanziario Usa, dove il QE di Boj e Fed sosteneva quindi una sola economia e non due. Infatti, il Giappone non ha mai beneficiato della liquidità creata da Boj (l’economia ha sempre ristagnato) dato che spariva nei meandri dei carry trade necessari per sostenere il leverage Usa. È evidente che il moltiplicatore monetario Usa, calcolato con l’aggiunta della liquidità di Boj, produce un pessimo e disastroso risultato finale: colossale liquidità (Fed e Boj) ma bassa crescita e pericolose bolle speculative.

Anche la Bce ha contribuito a tale meccanismo durante la gestione Draghi, dato che i tassi sull’Euro si sono allineati a quelli giapponesi e tutta la liquidità della Bce è in realtà servita a sostenere carry trade verso il dollaro, procurando pochi benefici alle economie Ue. Il moltiplicatore monetario Usa è quindi già in crisi da molto tempo, nonostante i mercati finanziari continuino a credere che basta stampare moneta per risolvere i problemi strutturali dell’economia. Questo abbraccio “mortale” tra banche centrali, in particolare Boj e Fed, regge se il Giappone ristagna in deflazione e i ritorni sugli investimenti in yen rimangono decisamente più bassi di quelli in dollari. Se l’economia giapponese, dopo 30 anni di stagnazione, volesse cambiare strategia e tornare a crescere, ecco che l’equilibrio si rompe e i flussi di capitale, che sostengono la leva finanziaria con la quale l’economia Usa cresce, si invertono.

Questo meccanismo spiega però anche un’altra cosa: nessuna economia del G3 può veramente utilizzare la liquidità che immette nel sistema e non può avere un cambio più forte del dollaro. Se dovesse accadere che euro e yen, o Europa e Giappone, impiegassero la liquidità immessa da Bce e Boj nelle loro economie e la loro crescita dovesse superare quella americana, ci sarebbe una crisi di dollaro e un deleverage in America. Stando così le cose, le economie di Giappone ed Europa sono condannate alla stagnazione eterna per sostenere questo meccanismo. Per quanto tempo i governi di Europa e Giappone reggeranno alle pressioni di una opinione pubblica che invece vuole la crescita? La crescita dei salari reali per superare la stagnazione è per questi paesi una scelta necessaria ma anche un serio problema per l’America, dato che implica più crescita e una inflazione più alta in Ue e Giappone e l’inflazione più alta implica tassi più alti, ma tassi più alti in Giappone ed Europa sono malvisti dagli Stati Uniti, che li vedono come una minaccia al differenziale di rendimento che deve sempre essere ampiamente a loro favore.

È quindi evidente che le recenti politiche reflazionistiche giapponesi, mirate a far salire i salari reali e a stimolare la crescita, sono una minaccia per gli interessi americani e per Wall Street. Infatti, la Sig.ra Yellen ha più volte criticato Boj e il governo giapponese perché ritiene che il Giappone, prima di decidere la sua politica economica, si deve consultare con gli Stati Uniti che, aggiungo io, gli direbbero quello che possono fare e non fare. Questo illustra a che punto siamo arrivati: per sostenere le bolle finanziarie americane il resto del mondo, Cina compresa, deve essere condannato alla stagnazione, per non diventare un potenziale polo di attrazione o competitor del capitale globale che serve prevalentemente agli Stati Uniti e alla finanza speculativa americana. La Cina stava per posizionarsi infatti come un competitor di capitali, ma è stata prontamente eliminata dal sistema nel corso degli ultimi due anni, con politiche mirate a contenere gli investimenti (non solo finanziari) dei paesi occidentali in Cina.

Un ulteriore problema alla tenuta di tale meccanismo è come l’America utilizza il capitale che riceve dai paesi che glielo prestano. Se lo utilizzi per fare economia reale e produci crescita globale, l’effetto trascinamento esercitato dalla crescita Usa viene in parte catturato anche dai paesi satelliti che ti finanziano, ma se utilizzi tale capitale per fare prevalentemente finanza speculativa, la crescita economica ristagna anche in America e l’effetto trascinamento sparisce, generando problemi interni ai paesi che esportano il capitale che servirebbe a finanziare la loro crescita e non quella americana. Infatti, nonostante le ripetute politiche fiscali di sostegno per puntellare questo modello economico-finanziario costruito sui carry trades e sulla finanza speculativa (25 punti di Pil solo negli ultimi tre anni), il sistema non riesce più a produrre ricchezza e le spinte populiste si stanno facendo sempre più forti in tutto il mondo occidentale (e continueranno a crescere).

In definitiva, essere “bullish” su questo modello di sviluppo è come essere bullish sulla “fine del mondo”, dato che il meccanismo è insostenibile e il suo cedimento è inevitabile e avrà ripercussioni impensabili. La stratosferica dimensione del debito del sistema, costruito su finanza speculativa e carry trades ormai da vent’anni, rende tale meccanismo impossibile da fermare senza provocare comunque una profonda crisi, ed è dunque obbligato a percorrere la sua strada fino in fondo, senza alcuna possibilità di correzione della rotta. Nel frattempo la narrazione rimane “necessariamente” concentrata su quanto la Fed ridurrà i tassi, nell’illusione collettiva che i fondamentali sottostanti potranno modificarsi in meglio solo in base alla variazione dei Fed Funds. Il panico di agosto è solo un piccolo esempio di cosa accadrà quando la “fiducia” nel modello cederà ed evidenzia quanto sia fragile e non solido il sistema nel quale abbiamo riversato la più grande “scommessa long” degli ultimi cento anni.

L’Oro è al suo massimo storico, ma rimane un investimento interessante

L’oro ha segnato un altro massimo storico, ma nonostante la forte performance continuiamo a considerarlo un asset interessante. Manteniamo la posizione costruttiva sulle mid-small cap.

di Andrea Scauri, gestore azionario Italia presso Lemanik

L’esaurimento del carry trade dello yen suggerisce che la Fed si trova in una posizione difficile e, dopo aver tagliato i tassi lo scorso 18 Settembre, dovrà presto porre fine al Quantitative tightening ed espandere il proprio bilancio, soprattutto per finanziare il deficit degli Stati Uniti e mantenere sostenibile la situazione fiscale del Paese. Tutti questi fattori contribuiscono a rendere l’oro un investimento interessante.

I mercati azionari globali hanno chiuso agosto in rialzo, dopo una significativa correzione nella prima settimana del mese (-6%), poi recuperata nella seconda metà del mese. In Europa, i principali indici hanno chiuso il mese con performance leggermente positive, così come negli Stati Uniti, mentre gli indici asiatici sono rimasti deboli a causa dei dati deludenti sulla crescita economica cinese. La correzione iniziale è stata innescata da diversi fattori: dati macro statunitensi più deboli del previsto, aumentando i timori di una recessione anziché di uno scenario di atterraggio morbido/assenza di atterraggio; liquidazione del carry trade dello yen; preoccupazioni per il rischio geopolitico; sovra-posizionamento su alcuni settori/azioni (AI/tecnologia/crescita/cripto/Magnificent).

I risultati trimestrali di NVIDIA sono stati solidi e superiori alle aspettative, mostrando un trend sempre positivo per le applicazioni legate all’AI. Successivamente, l’inflazione negli Stati Uniti è aumentata meno del previsto per il quarto mese consecutivo, mentre alcuni dati macroeconomici di agosto hanno indicato un leggero miglioramento rispetto a luglio. Questi fattori hanno determinato la decisione del presidente della Fed Powell di effettuare il primo taglio in occasione dell’ultima riunione del FOMC

In particolare, Powell si è detto fiducioso che l’inflazione sia sulla buona strada per raggiungere il 2% e che non vuole che il mercato del lavoro si raffreddi ulteriormente. Ciò indica che la Fed vede il prossimo ciclo di tagli dei tassi non come una reazione a un marcato rallentamento dell’economia, ma piuttosto come un ritorno al tasso neutrale. Sul fronte delle elezioni statunitensi, i sondaggi attuali mostrano che Harris avrebbe qualche punto percentuale di vantaggio su Trump. Il vero punto interrogativo è se il nuovo presidente sarà in grado di fare “piazza pulita” o meno, per consentire l’attuazione delle varie proposte.

L’indice Bloomberg delle materie prime è rimasto complessivamente stabile nel mese di agosto. Il petrolio è stato debole, in quanto la possibilità di un aumento della produzione da parte dell’Opec in un momento in cui le aspettative sulla domanda rimangono incerte ha compensato il rischio di offerta legato alle tensioni in Medio Oriente. L’oro ha segnato un altro massimo storico, sostenuto dal calo dei tassi di interesse reali, dalla debolezza del dollaro e dalle preoccupazioni geopolitiche. Nonostante la forte performance (+22% da un anno all’altro), continuiamo a considerare l’oro un asset interessante.

Negli ultimi mesi si è registrata una perdita di slancio in Europa e in Cina, causata dall’indebolimento degli indicatori manifatturieri globali. Negli Stati Uniti, la crescita del Pil continua a essere solida, anche se più lenta rispetto agli ultimi trimestri, e la domanda di lavoro ha mostrato segni di rallentamento. Per questo motivo, i prossimi dati macro saranno attentamente monitorati dal mercato. Il nostro scenario di base rimane un atterraggio morbido, nonostante i segnali di rallentamento. Manteniamo la nostra posizione costruttiva nei confronti delle mid-small cap. L’avvio del ciclo espansivo da parte delle banche centrali, senza un significativo deterioramento del mercato del lavoro e dell’economia, è un elemento positivo, soprattutto per i titoli di qualità e di crescita, che al momento continuiamo a preferire ai ciclici.

Nel settore finanziario, ci aspettiamo che un contesto di graduale calo dei tassi d’interesse favorisca i titoli asset manager (il nostro preferito è Anima), le società meno sensibili al margine d’interesse (come Mediobanca) e le banche con una quota maggiore di ricavi da commissioni (Intesa). Manteniamo la nostra posizione sul Monte dei Paschi: il titolo è a buon mercato, sovra-capitalizzato e a nostro avviso con un upside speculativo legato a eventuali operazioni di M&A. Rimaniamo costruttivi sui finanziari, ci siamo riposizionati sulle utilities, siamo molto selettivi sugli industriali e abbiamo iniziato ad acquistare alcuni nomi del lusso.